Candidarsi a diventare Presidente degli Stati Uniti significa creare un marchio che almeno il 51% del paese vorrà acquistare nel giorno delle elezioni.
Non è un compito facile in una nazione così grande e varia come l’America. Un punto focale troppo concentrato impedirebbe di ottenere la maggioranza dei voti.
Un punto focale ristretto rafforza un marchio, ma una base ampia fa vincere le elezioni. Il compito è arduo. Persino l’iPhone non ha il 51% del mercato degli smartphone negli USA.
La chiave per vincere un’elezione consiste nel trovare un tema abbastanza ristretto da rappresentare qualcosa, ma anche abbastanza ampio da piacere a parecchi elettori.
- George H. Bush: «Nessuna nuova tassa».
- Bill Clinton: «È l’economia, stupido!».
- Barack Obama: «Cambiamento» e «Avanti».
Alle elezioni presidenziali mancano ancora 18 mesi, che in politica sono un’eternità.
Ma partire bene con il proprio marchio, il proprio messaggio e il proprio logo è importante per entrare nella testa degli elettori.
Una delle tecniche più efficaci di branding è la ripetizione. Quanto prima un candidato riesce a fissare il proprio marchio e a ripeterne il messaggio, tanto meglio.
L’uniformità del messaggio di Obama nel 2008, contro i messaggi troppo numerosi di Hillary Clinton e di John McCain, lo ha aiutato a raggiungere il successo.
Io credo nel potere delle immagini.
Il martellamento visivo di Obama è stato estremamente efficace. Il successo di Obama ha spinto tutti i candidati a essere più orientati visivamente.
I candidati di oggi sono pronti a creare siti web, manifesti e profili nei social media, usando i caratteri tipografici, i colori e i loghi più adeguati.
Hanno chiaramente ingaggiato agenzie di design di alto livello per ottenere indicazioni per la creazione di marchi dall’identità raffinata.
Di quale idea un candidato vuole entrare in possesso nella mente degli elettori? Obama voleva possedere la parola «cambiamento», e l’immagine di un sole nascente comunicava efficacemente questa idea a livello emotivo.
Hillary Clinton è uno dei politici più famosi del mondo. Si è candidata nel 2008 e ha perso. Sta ovviamente progettando la campagna del 2016 da molto tempo.
Con l’aiuto dei migliori consulenti – per non parlare di quello di Bill Clinton – si poteva pensare che avesse ormai trovato un’idea eccezionale, facile da visualizzare.
Invece il messaggio che ha lanciato due settimane fa è stato: «Gli Americani comuni hanno bisogno di un campione. Voglio essere quel campione». Hillary può rappresentare gli Americani comuni? È lontana dalla vita degli Americani comuni tanto quanto la Regina d’Inghilterra.
Dopo che un partito politico ha controllato la Casa Bianca per otto anni, è difficile che un candidato dello stesso partito vinca. Dopo Clinton, Al Gore ha perso. Dopo Bush, John McCain ha perso.
Dopo Obama, Hillary si troverà di fronte lo stesso problema.
Può basare la sua campagna presentandosi come la continuatrice di ciò che Obama ha iniziato. È in questo modo che George H. Bush ha conquistato la Casa Bianca dopo otto anni di Ronald Reagan.
O dovrà posizionarsi proponendo un cambiamento, senza però suonare troppo critica dell’operato di Obama.
Due settimane fa Hillary ha lanciato la sua campagna con un logo nuovo e ardito. Una grande H blu con una freccia rossa.
Alcuni critici hanno detto che assomiglia all’insegna di un ospedale o al logo della FedEx, o a una bandiera.
La questione non è se la «H di Hillary» sia bella o no. La questione è che cosa comunica.
La freccia sembra indicare una continuazione dell’amministrazione Obama. Una freccia dice «andiamo avanti». Il che ricorda abbastanza lo slogan della campagna di Obama del 2012, «Avanti».
È questo ciò che Hillary vuole comunicare? Credo e spero di no. Obama non è molto popolare; la chance migliore per Hillary consiste nel concentrarsi sul cambiamento. Non sulla continuazione dell’esistente.
Una freccia che punta in avanti è l’opposto di quello che la maggior parte della gente vede in Hillary Clinton. Votare per lei significa tornare indietro, significa il ritorno dei Clinton alla Casa Bianca. Ad alcune persone questa idea piace; ad altre no.
Hillary Clinton deve sviluppare per prima cosa un buono slogan per la sua campagna e poi cercare di visualizzarlo.
I Repubblicani hanno un problema più semplice. Essere in carica rappresenta di solito un vantaggio in politica. Ma essere il partito in carica dopo otto anni di governo non è un vantaggio. I Repubblicani che finora sono entrati in gara si sono concentrati su qualche sorta di cambiamento.
Marco Rubio è della Florida, giovane, dinamico, dalla faccia pulita, e potrebbe rappresentare il cambiamento. Rubio ha annunciato la sua candidatura due settimane fa con questi messaggi: «Siete pronti per un Nuovo Secolo Americano?» e «Chiamare a raccolta tutti i conservatori desiderosi di fare».
Il primo slogan lo posiziona come la scelta di una nuova generazione, contro la Clinton, che rappresenterebbe la scelta del secolo passato. Lo slogan del «fare» lo posiziona come qualcuno che può fare qualcosa, contro l’incapacità di Washington di concludere alcunché.
L’immagine che ha scelto è quella di una mappa degli Stati Uniti, usata al posto del puntino della i di «Rubio». Ma è così piccola che si vede a malapena.
Rand Paul è il figlio di Ron Paul, l’ex parlamentare del Texas, ex candidato alla presidenza e rappresentante del libertarismo. Rand Paul deve lottare per differenziarsi dalle idee libertarie del padre e creare un messaggio per le masse.
Anche se Rand è un senatore del Kentucky che risiede a Washington, i suoi legami con il libertarismo gli danno comunque le credenziali di un outsider con le connessioni di un insider. Il suo messaggio attuale è «Sconfiggiamo la Macchina di Washington».
L’idea è diretta contro la macchina politica della Clinton, nonché contro tutti i politici in generale.
È una buona strategia, ma può convincere la maggioranza a seguirlo con questa idea? Potrebbe essere troppo radicale.
E che ci sta a fare la somma delle donazioni ricevute sulla home page del suo sito? Lo fa apparire interessato a diventare una macchina per ottenere finanziamenti.
L’immagine di un totale in dollari confonde, dato il suo messaggio contrario alle grandi spese statali. All’inizio ho pensato che fosse uno dei soliti calcolatori del debito nazionale.
Rand ha inoltre una piccola fiamma rossa al di sopra del suo nome, suppongo una torcia della libertà. È troppo piccola da vedere e non è connessa in modo comprensibile alla «sconfitta della macchina politica».
Saranno 18 lunghi mesi di campagna elettorale. Ma sono impaziente di seguirla, commentarla e, naturalmente, di votare nel giorno delle elezioni.
-Laura Ries –
PS: Vuoi imparare a sfruttare il potere del nome e della focalizzazione per aumentare le vendite e polverizzare le speranze dei tuo concorrenti di competere con te?
Allora non lasciarti sfuggire il libro di Al Ries: Focus – il futuro della tua azienda dipende dalla focalizzazione-
Lo slogan “I care” è stata l’arma vincente. Sono veramente curioso per interesse personale e per gli studi fatti di vedere come andrà a finire questa volta. Rand Paul comunque non arriva alla nomination troppo elitario. Per la prima volta mi studierò la campagna elettorale anche con i nuovi strumenti che mi avete fornito e di questo non posso che ringraziare Frank
Mai avevo pensato alla strategia di marketing applicata alla campagna elettorale presidenziale. Davvero interessante
Una campagna elettorale è SOLO marketing.
ottimo articolo. Frank ora grazie a te potrò guardare con occhi diversi anche la campagna elettorale americana. E magari imparare anche qualcosa..
Grazie. Sempre spunti nuovi per nuove riflessioni.
Mi sono sempre chiesto perché i Repubblicani usino il ROSSO (colore tipico dei partiti Socialisti) e i Democratici l’Azzurro (colore tipico dei partiti Conservatori)… boh…
Perché il significato dei colori dipende da nazione a nazione, e dalle sue caratteristiche culturali…nella fattispecie, negli USA i socialisti NON ESISTONO, e nemmeno i progressisti si definiscono tali.
Grazie!
Un ottimo post: scorrevole, “pulito” ed estremamente esplicativo.
Thank u! (visto che si parla di elezioni USA)
Pierluigi
Domanda di pura curiosità…
Ma come mai un politico non assume direttamente i Ries?
Più di loro!
Interessanti gli spunti di Laura Ries. Un’annotazione sulla premessa: “Candidarsi a diventare Presidente degli Stati Uniti significa creare un marchio che almeno il 51% degli Elettori – e non proprio del Paese – vorrà acquistare nel giorno delle elezioni; ossia circa il 31% del Paese visto che gli elettori che partecipano al voto, ormai da anni si attestano sul 60% degli aventi diritto.
(Focus è un gran Libro per chi ha bisogno di Focalizzarsi, pur avendo come modelli realtà prevalentemente U.S.A. o Multinazionali). Thanks Frank
Come al solito vince chi è più forte economicamente,battere i Clinton questa volta sarà molto difficile,ma l’America è il paese meno prevedibile al Mondo!
Bello! Mi ha fatto tornare in mente il “Eisenhower Man of Peace”, se ricordo bene ideato da Reeves per la campaga del ’52
Un ottimo spunto di riflessione. grazie per la qualità dei contenuti