La Battaglia del Panettone che si vince con la focalizzazione

panettoniDopo l’articolo sul caso Melegatti mi sono arrivate una valanga di domande sui temi più disparati. Il posizionamento di marca scuola Ries & Ries è qualcosa di quasi completamente sconosciuto al mondo accademico, in particolare in Italia e molti si stupiscono delle magie che esso può creare.

In realtà si stupiscono anche del fatto che una volta realizzato un posizionamento secondo le 5 semplici regole che sono:

1 Focus

2 Categoria

3 Verbal Nail

4 Visual Hammer

5 Battlecry

tutto appaia assolutamente logico e ineccepibile ma in così pochi siano propensi a usare questa tecnologia.

Andiamo per ordine:

Accesso alle informazioni

Innanzitutto è da poco che Al e Laura Ries vengono in Italia a tenere lezione. Lo hanno fatto due volte nell’ultimo anno durante i miei eventi a nome Venditore Vincente, il summit annuale della vendita professionale. Poi insegnano a me privatamente e basta.

I libri di Al Ries in Italiano sono pochi. Ho tradotto e pubblicato personalmente e con la mia casa editrice “Focus, il futuro della tua azienda dipende dalla focalizzazione”, del quale puoi scaricare un capitolo inserendo la tua mail nel riquadro in alto a destra in questa pagina.

Poi c’è “Le 22 Immutabili leggi del Marketing” ancora in stampa, quando ancora Al Ries era con il suo vecchio socio Jack Trout e poco altro. Tutto il resto é in inglese.

Apparente difficoltà di implementazione

Per chi non conosce il branding o lo interpreta in maniera superficiale l’applicazione appare irrealistica poiché si crede – soprattutto presso le grandi aziende – che focalizzazione significhi dover smontare dalla sera alla mattina intere linee di produzione e di prodotti, quando ovviamente non é così.

Il secondo passaggio è legato al fatto che proprio le grandi aziende, che vengono – erroneamente – osservate dalle PMI come modello di “come si fanno le cose”, siano assolutamente antitetiche al branding.

Questo per due ulteriori motivi:

Il primo è legato al CDA e all’azionariato, che incoscienti delle dinamiche di mercato e di ciò che realmente porta il bene nel lungo periodo dell’azienda, chiedono ai manager sempre e comunque

  • Aumenti di fatturato
  • Domani mattina

Per portare aumenti di fatturato domani mattina, l’unico modo che hanno i manager per farlo (e anche quello che conoscerei io stesso c’è da dire a loro discolpa) è quello di vedere in quale nicchia il brand ancora non si sia infilato, fare una bella survey o sondaggio o analisi di mercato che dir si voglia e lanciare:

  • un prodotto completamente nuovo e avulso dal focus principale (prendiamo il caso già trattato nel precedente articolo dei prodotti da forno come i cornetti per la prima colazione di Melegatti, Bauli ecc…) o…
  • un’estensione di linea del prodotto principale. (un panettone al limone o a qualunque gusto al manager in carica sia venuto in mente di sondare quell’anno)

Entrambe queste azioni è probabile che se sorrette da un forte allocamento di budget, o detto in maniera più rozza – se l’azienda ci butta denaro dietro – portino aumenti di fatturato nel breve termine.

E questo obtorto collo va benissimo al manager di turno, soprattutto se non vuole vedersi licenziato.

Il secondo motivo è legato alla formazione accademica. Il “brand managemet” che viene insegnato nei più prestigiosi atenei italiani ha tra gli obiettivi:

“La potenziale espansione del raggio d’azione del brand verso segmenti di mercato e/o settori o industry specifici e/o distanti, richiede che vengano approfondite le logiche manageriali tese a consolidare nel tempo l’equity di marca.”

Detto non in “latinorum” è essenzialmente quello che ho spiegato poco sopra. “Espandere il raggio di azione del brand” significa capire quali altri prodotti ed estensioni di linea si possono lanciare che ancora non siano state lanciate.

Ma è un ragionamento sbagliato, dato che la vera opportunità per un brand è esattamente il contrario e si nasconde nella focalizzazione. Un brand è forte esattamente quanto MENO espande il raggio di azione e si focalizza per rappresentare un concetto specifico nella testa dei clienti.

Lo so che è contrario a tutto quello che appunto viene insegnato normalmente nel mondo accademico, proprio perché le aziende chiedono solo meccaniche a breve termine per compiacere gli azionisti ma è ciò che la storia dimostra da sempre.

Altro passaggio fondamentale che quasi sempre non viene capito: un brand non è un’azienda.

Un brand è un brand.

Compito delle aziende è quello di creare brand.

Prendi la Procter&Gamble che solo in Italia vende i seguenti brand:

Cura della casa

  • Ace (detersivi per bucato in lavatrice e a mano)
  • Ambipur (deodoranti per ambienti)
  • Ariel (detersivi per bucato a mano)
  • Bolt (detersivi per bucato in lavatrice e a mano)
  • Dash (detersivi per bucato in lavatrice e a mano, detersivi per capi delicati, additivi smacchiatori)
  • Duracell (batterie)
  • Eukanuba
  • Fairy
  • Febreze (rinfrescante per tessuti)
  • Lenor (ammorbidente)
  • Mastro Lindo (detergenti per la pulizia della casa)
  • Swiffer (pulizia)
  • Viakal (detersivi)

Cura della bellezza e salute

  • AZ (dentifrici e prodotti per la cura dei denti)
  • Fluocaril
  • Gillette (rasoi)
  • Braun (rasoi)
  • Head & Shoulders
  • Koleston
  • Kukident (prodotti per le dentiere)
  • Lacoste
  • Mach3
  • MaxFactor
  • Olaz (cosmetici e creme)
  • Oral B (dentifrici e prodotti per la cura dei denti)
  • Pantene (cura dei capelli)
  • Parogencyl
  • Replay
  • Rochas Paris
  • Sebastian
  • Venus
  • Vicks (prodotti per la sinusite e il raffreddore)
  • Wella (cura dei capelli)

Come vedi non c’è scritto da nessuna parte che un’azienda debba LIMITARSI a un solo prodotto ma nemmeno a un solo settore o a una sola categoria. E’ proprio che viene scambiato il concetto di azienda con brand.

E quando scambi il nome dell’azienda per il brand, finisce che vuoi spalmarlo su tutto quello che ti capita a tiro.

Apple non è il brand. O meglio non è il brand in vendita. In vendita la Apple ha:

  • iPhone
  • iPad
  • iPod
  • Mac
  • Apple Watch (che Al Ries ha già criticato in un articolo precedente in questo stesso blog)

Quando ho scritto “Melegatti non deve spalmare il brand sui cornetti da colazione”, non intendo che non debba farli in nessun modo se ha senso allocare delle risorse in quella direzione.

Dico una cosa molto più semplice, cioè che hai contemporaneamente:

  1. Molte più possibilità di successo con un brand creato ad hoc per aggredire quella nicchia e non con un brand che significa “Pandoro” nella testa delle persone.
  2. La possibilità di non rovinare il brand Melegatti con l’ennesima estensione di linea che porta il suo nome e lo diluisce inutilmente.

La Procter&Gamble non ha le “Pile Procter&Gamble”: ha le Duracell.

Allo stesso modo non c’è il “Detersivo Sgrassante Duracell” ma c’è “Mastro Lindo”.

Ma è così difficile da capire che :

Una categoria = Un brand dedicato

è il modo corretto di fare le cose e ha solo vantaggi e NESSUN svantaggio? Mi sembra che io e Al Ries ogni tanto parliamo in qualche linguaggio marziano incomprensibile ai terrestri…

Altra risposta per chi attacca la pippa accademica che non si possono portare “soluzioni” senza dati ecc…: non è vero.

La focalizzazione non significa necessariamente dismettere linee di prodotti. L’ho detto e lo ridirò diecimila volte.

Significa che ogni prodotto deve avere il suo brand che significhi qualcosa nella testa dei clienti senza usare un unico brand “cappello” che finisce solo per logorarsi.

E gli studi dimostrano che nel lancio di un nuovo prodotto è necessaria la medesima quantità di denaro per lanciarlo attraverso un nuovo brand piuttosto che lanciarlo con una estensione di linea di un brand name già esistente.

Lo so che il buonsenso vi farebbe dire: “Ha più senso che la gente sentendo un nome noto si fidi di più e compri con meno investimenti da parte nostra”.

Capisco, ma semplicemente non è così. Vi ricordo Mastro Lindo e non Duracell Pulizie Sgrassanti. Quindi facciamola finita per cortesia.

Torniamo all’articolo su Melegatti, nel quale spiegavo di rimuovere le linee di pandoro farciti. Apriti cielo i maghi delle accademie strali e anatemi su di me!:

“Ma come si fa, ma i numeri, ma le survey,
ma i dati, le quote di mercato…!”

Guardate che il problema è proprio che non conoscete le fondamenta del branding e quindi non avete idea di come creare un piano strategico di medio lungo al riguardo.

Ve la faccio facile e a prova di terza media: focalizzarsi non significa tenere un solo prodotto e buttare all’aria dalla sera alla mattina intere linee di prodotti, di produzione ecc…

Significa focalizzare il marketing e man mano che il marketing focalizzato dà i suoi frutti, avere il coraggio numeri alla mano e in linea con ciò che l’azienda può realmente permettersi di eliminare i prodotti che portano fuori focus per rinforzare il marketing sempre di più.

Facciamo un esempio scemo con numeri inventati: 

Domattina alla Melegatti dopo aver letto il mio articolo, parte il mio piano a medio termine per rifocalizzare l’azienda sul pandoro e quindi serve un direttore marketing che in accordo con la finanza dell’azienda e ovviamente il CDA, numeri alla mano traghetti l’azienda verso il futuro in qualche anno.

Diciamo che il prodotto più scarso dell’azienda il pandoro farcito al limone (non so nemmeno se esista) faccia lo 0,3% del fatturato di Melegatti. Servono le palle e conti alla mano per rimuoverlo dagli scaffali subito e sostituirlo con le nuove campagne focalizzate del pandoro originale.

Serve budget allocato e campagne mirate e focalizzate. Se fate campagne di advertising focalizzate sul brand : “Da sempre per il tuo Natale il Pandoro Originale”, le vendite si alzano.

Le vendite NON si alzano quando fate campagne milionarie creative defocalizzate, con slogan creativi e inutili come “La dolcezza si vede dal mattino” e cose così. Quelli sono soldi buttati nel cesso. Focalizzate sul brand le campagne e i risultati verranno.

Man mano che i risultati vi danno ragione, continuate a focalizzare anche le linee produttive. Non è necessario per forza dismettere le linee di prodotti speciali o di venderle ecc… Potete benissimo tenerle e venderle con un altro brand nuovo di pacca.

Queste sono le decisioni per le quali “servono i numeri alla mano” e non si possono prendere su un foglio di carta alla cieca come sto facendo io.

E’ un mercato in contrazione quello di dolci da ricorrenza che vale però pur sempre poco meno di 600 milioni di euro fatti al 90% in Italia.

Ma quello che gli accademici confondo sempre è il fatto che tengono la piramide decisionale sottosopra.

E’ la scelta strategica di branding e focalizzazione che va fatta PRIMA.

POI si guardano i numeri e con un piano a medio termine e tenendo d’occhio quei numeri si implementa il piano in maniera realistica.

La maggior parte degli accademici vuole fare il contrario: parte dai numeri presenti e di richiesta futura del CDA e in base a quelli “violenta” il brand spalmandolo da tutte le parti.

“Eh ma dovevamo proprio lanciarli quei cornetti!
Quel fatturato ci serve capisci???”



Capisco ma state sputtanando un brand. Fate spiccioli oggi e cagherete sangue domani. E’ una visione miope.

Siete gli Sculley dei dolci da ricorrenza. Avete presente il tizio super laureato con Master in Business Administration presso la prestigiosa Warthon School of the University of Pennsylvania? Mica all’Università di Battipaglia e Nocera Inferiore eh?

Questo genio della Business Administration fu colui che “cacciò” Jobs da Apple e ne prese il comando. Jobs aveva il diploma e questo aveva laurea e Master di Business Administration a Warthon.

Cosa fece il genio in questione appena insediato? Ma quello che insegnano in ogni fottuto Master di Business Administration in tutto il mondo!: 

“Esplorare la potenziale espansione del raggio d’azione del brand verso segmenti di mercato e/o settori o industry specifici e/o distanti, richiede che vengano approfondite le logiche manageriali tese a consolidare nel tempo l’equity di marca.”

Detto più terra terra per spiegarlo come lo avrebbe spiegato Steve Jobs dal basso del suo diploma superiore?

“Questo tizio si è insediato nella mia azienda e sta facendo survey, “voice of customer” e “customer interviews”. Non ho capito benissimo cosa siano perché non ho studiato ma mi sembra che in pratica stia facendo sondaggi e analisi di mercato chiedendo ai clienti se comprerebbero i nostri prodotti con una feature in più o diversa.

Ovviamente tutti i clienti alla maggior parte delle idee, come sempre accade in questi casi, gli diranno di sì.

Lui crederà a queste customer interviews come se i clienti sapessero consapevolmente quello che vogliono e lancerà una lunga serie di prodotti per cercare di capire come sfangare il prossimo trimestre e alla Apple si ritroveranno il magazzino pieno di prodotti quasi uguali a quelli che ho creato io, che costano di più perché hanno una feature innovativa che non servirà a nulla e che nessuno vuole.

Sarà la fine di Apple.”

Per fortuna non fu la fine di Apple perché in un guizzo di lucidità Apple richiamò Jobs e cacciò l’accademico di stocazzo.

Al suo rientro Jobs si ritrovò con una linea estesa a quarantasei prodotti (QUARANTASEI!!!) quasi tutti uguali, uno la copia dell’altro. Line di produzione, magazzino, operai, conti in rosso profondo ecc… Apple era diventata un bagno di merda pieno di estensioni di linea che non finiva più.

Jobs ci mise sette anni a rifondare l’azienda, non un trimestre. Sette anni nei quali mentre segava tutte le linee di prodotti inutili si rifocalizzava a migliorare funzionalità e design degli unici 4 prodotti che tenne per Apple. E in quegli anni durissimi il fatturato non migliorò, anzi continuava a calare.

In questi sette anni Jobs smontò progressivamente le 42 linee di prodotti inutili e si focalizzò nel migliorare i prodotti esistenti (Ehi, Melegatti, che ne dite di tornare a investire su quel meraviglioso pandoro che ha un brand potenzialmente invincibile per renderlo ancora più buono? Qualità degli ingredienti, gusto, cose così insomma… No, così a tempo perso se vi avanza qualcosa da fare tra il lancio di un cornetto alla crema e dei biscotti al pistacchio eh…?).

Guardate che Sculley non era nè un pazzo nè uno sprovveduto come la storia successivamente ha provato a farlo passare. Ha fatto quello che fanno tutti gli AD che si insediano in un’azienda, coadiuvati dagli accademici di marketing che si insediano in ruoli dirigenziali.

“Dobbiamo far crescere il nostro giro di affari”

è inevitabilmente la dichiarazione pubblica di un neo insediato amministratore delegato.

Il problema é che un brand maturo, non un’azienda ma un brand, raggiunge un punto ottimale di crescita oltre il quale una crescita ulteriore può essere causata solo dalla crescita demografica o dei prezzi. Riconoscere questo semplice fatto che nelle accademie di tutto il mondo pare ignorato, risolverebbe praticamente tutti i problemi di marketing e di management.

Cosa fanno quindi i manager? Cominciano con le customer survey, voice e altre supercazzole varie per scoprire in quali altre direzioni possono spalmare il proprio brand.

E quindi le nostre aziende di food dolce da ricorrenza cominciano con le varie edizioni speciali del pandoro,

  1. al limone,
  2. al cioccolato,
  3. con uvetta,
  4. senza uvetta,
  5. coi canditi,
  6. senza canditi,
  7. solo con i canditi al limone,
  8. alle mandorle,
  9. soffice,
  10. con le nocciole,
  11. al chitemmurt’ ecc… ecc….

Poi passano a fare la stessa cosa con il panettone che viene proposto in 73 varianti compresa quella al rabarbaro e quella al tramistelco profumato al faminzo.

Poi cominciano ad allungare il brodo della loro colomba pasquale.

Quando oggettivamente hanno lanciato tutti i gusti possibili e immaginabili (di cui il 90% rimane nei loro magazzini a prender la muffa e lo rivendono a prezzo di stock agli allevatori di maiali a fine stagione) al CDA e al nuovo direttore marketing viene l’idea del secolo… stai attento:

“Cazzo ragazzi, ma noi vendiamo solo durante le ricorrenze!”

“Ohhhhhh….(voce stupita degli altri presenti alla riunione)”

“Sarà mica perché siamo un’azienda che vende food dolce da ricorrenza?”, prova il magazziniere neo assunto dal fondo della sala che passava di lì per caso.

“Zitto tu che non capisci, io sono qui da vent’anni! E poi che ne sai tu di marketing! Dicevo… ho capito che noi vendiamo molto sotto Natale e Pasqua ma é un errore! Guardate la Kinder con l’uovo di Pasqua! (questo esempio di merda se lo rivendono sempre, garantito al limone come Last) Ha creato l’Ovetto Kinder e lo vende tutto l’anno… allora sapete che vi dico? Anche noi dobbiamo fare la stessa cosa! Faremo i nostri prodotti per tutto l’anno!”

“BRAVOOOOO!!!!! CLAP CLAP CLAP CLAP!!! (La sala è in visibilio).

“Direttore marketing, ci pensi lei! Vadi!!!”

“Ok capo! Vado???”

“Vadi direttore, vadi!!!”

Il direttore marketing allora tutto contento apre l’enciclopedia di Cozzler il Cozzleriano a pagina 237 che spiega come fare in questi casi di lancio di un nuovo prodotto.

Si fanno sondaggi, analisi di mercato ecc…ecc… e infine la viola del secolo viene cagata fuori e presentata in pompa magna nella riunione speciale del CDA convocata d’urgenza:

“Ragazzi, i sondaggi e le analisi di mercato che abbiamo svolto secondo il metodo Kazzabubbol della prestigiosa Bites University ci hanno confermato che siamo pronti per il lancio di un prodotto che si possa vendere tutto l’anno!”

“OHHHHHH!” (la folla freme).



“Anzi, abbiamo deciso che non ne lanceremo solo uno ma ben due e faremo ancora più successo!”

“OHHHHHHHHHHH! (la folla freme di più).

“Visto che la Kinder ha fatto l’ovetto pasquale di cioccolato piccolo e lo vende tutto l’anno, noi faremo il panettoncino e il pandorino piccoli piccoli con i quali le persone faranno colazione tutto l’anno! Si svolta ragazzi!!!!”

“

CHE GALLATAAA! GRANDE DIRETTORE!!! E’ PROPRIO UN BEL DIRETTORE!!!” (Folla in visibilio).

Peccato che alla prova dei fatti, il lancio nel mondo reale del panettoncino e del pandorino dimostrerà il contrario.

Non solo di questi prodotti se ne venderanno pochi ma si venderanno esattamente nel periodo delle ricorrenze, finendo solo per cannibalizzare il prodotto principale. Durante il resto dell’anno non si vendono, perché non è così che funziona la mente delle persone nonostante i sondaggi dicano il contrario.

Non dovete mai credere ai sondaggi per giustificare una estensione di linea.

L’estensione di linea è un cancro, un sintomo di pazzia aziendale che pervade la maggior parte delle realtà aziendali ed è avvallato dal mondo accademico come se fosse una “scienza”.

Non dovete mai credere ai sondaggi. Capisco che sia seducente e nel vostro cervelletto questo concetto “Chiedo ai clienti e do ai clienti quello che vogliono”  paia anche ovvio.

Ma non è così che funziona la mente e non è così che funzionano le abitudini di acquisto dei consumatori.

I sondaggi mentono.

Soprattutto mentono ancora di più se chi li commissiona, lo fa in maniera pretestuosa per giustificare il lancio di una estensione di linea.

Adesso a te profano del marketing spiego in maniera facile come funziona questa scemenza dei sondaggi e dell’ “ascoltare la voce del cliente”.

Un tizio vede che alcune persone allungano la Red Bull con la Coca Cola. Allora gli viene un’idea geniale e commissiona un sondaggio nel quale chiede ai consumatori :

“Vedo che allungate la Red Bull con la Coca Cola. Se noi vi creassimo una lattina direttamente che mischia i due prodotti voi la berreste? Sarebbe anche più comodo no?”.

La risposta al sondaggio é “Sì”, quindi la Red Bull lancia la Red Bull Cola.

Andiamo avanti. Un’azienda di food dolce da ricorrenza vede che molte mamme quando aprono il pandoro per i propri bambini gli farciscono le fette con la Nutella o varie creme al cioccolato.

Allora dal marketing parte un sondaggio che recita:

Ma se noi vi facessimo una variante del nostro pandoro con dentro già la crema al cioccolato, voi lo comprereste?”

La risposta al sondaggio é “Sì”, quindi il prodotto viene lanciato.

Un’azienda che produce birra si accorge che d’estate molti consumatori mischiano la birra con aranciata o limonata. Allora parte un sondaggio che chiede:

“Ma se noi vi facessimo una variante della nostra birra per la prossima estate con già dentro la limonata (o l’aranciata) voi la comprereste?

La risposta al sondaggio é “Sì”, quindi il prodotto viene lanciato.

La Pepsi si accorge che alcuni consumatori spremono qualche goccia di limone nella loro bevanda. Fanno il sondaggio per sapere se comprerebbero la variante già aromatizzata al limone e così nasce la “Pepsi Twist”.

Qual è il problema di questo approccio? Semplice: che non funziona MAI.

I consumatori non sanno quello che vogliono a livello consapevole, quindi “chiederglielo con i sondaggi” è una cosa stupida e inutile.

Sì lo so, insegnano a farlo a scuola, si lo so la mamma ha pagato la retta universitaria con tanti sacrifici e merita rispetto, sì lo so ti sei fatto il culo per prendere quella laurea e superare gli esami di marketing e meriti rispetto ci mancherebbe… ma questa pratica rimane una puttanata.

Non mi interessa “chi lo dice” o quale teoria lo dica. Le “teorie di marketing” non mi interessano.

Al Ries dice una cosa straordinaria:

“Se volete imparare davvero il marketing non studiate il marketing. Ci sono tantissime teorie che spesso si contraddicono. Studiate la storia.”

Ora la storia dice che la RedBull Cola, le estensioni farcite del pandoro, il panettoncino, la Pepsi Twist, la birra alla limonata, la Coca Cola al mirtillo ecc…ecc… siano stati dei fiaschi pazzeschi e inutili dispendio di energia, risorse e capitali per le aziende che li hanno lanciati.

Adesso ti spiego come funziona davvero la mente delle persone:

Se tu chiedi a una persona alla quale magari vedi bere la birra con la limonata se comprerebbe il prodotto già pronto in bottiglia, la sua parte razionale a caldo ti risponde di sì. Cosa c’è di meglio di farsi birra e limonata senza la rottura di palle di dover comprare due bottiglie, mischiarle, una non sai dove metterla ecc…?

Dal punto di vista razionale l’idea è seducente e pare scontata. E il sondaggio lo conferma.

E’ la realtà che è diversa.

La realtà dice che quando il consumatore va a provare la TUA birra con limonata, si rende conto che è diversa dalla SUA birra con limonata o meglio di quella che aveva in testa e sulle papille gustative.

Perché lui vuole in realtà anche se non sa dirtelo nel sondaggio:

  1. bere la sua birra preferita, della marca che piace a lui

  2. berla mischiata con la marca di limonata che piace a lui e non quella che ci metti tu

  3. berla nelle proporzioni che piacciono a lui che non sono quelle che scegli tu

Quindi il risultato è che il tuo sondaggio del cazzo ti fa lanciare un prodotto che la gente magari prova ma poi non ricompra perché non ha assolutamente il sapore che voleva lui e non potrà averlo mai.

Quindi hai nell’ordine:

  • Un minimo incremento di fatturato al lancio (se va bene la gente prova la novità)
  • Il fatturato crolla subito dopo o la stagione successiva se parliamo di ricorrenza perché il prodotto non piace
  • Hai sputtanato la forza del brand con l’ennesima estensione di linea defocalizzante
  • Hai creato linee di produzione, hai investito in ricerca e sviluppo, risorse, macchinari ecc… che adesso ti devi tenere nel culo o riadattare a far altro

Te la rifaccio?

Quando tu lanci la RedBull Cola perché i sondaggi e “la voce dei clienti” ti dice che “c’è spazio” la gente la prova ma poi te la sputa in faccia e ti resta nei magazzini perché:

  • Quella che tu ci metti dentro non è Coca Cola ma un surrogato disgustoso.
  • E se anche non fosse disgustoso la gente in realtà non vuole bere la Red Bull mischiata con la “Frizz Cola” del Lidl che è in realtà quello che gli stai proponendo.

Il brand conta, ragioniere.

  • Comunque non è mischiata nelle proporzioni che piacciono a lui.

Ragioniere, lei si deve rendere conto che se io mischio birra e limonata o Red Bull e Cola, sicuramente le mischio come potenzialmente fanno altre migliaia di persone.

Solo che ognuno di noi le mischia in modo diverso quindi l’idea del prodotto standard è seducente se ragioni in maniera superficiale e ti fai dare ragione da una survey, ma è assolutamente stupido se ci rifletti un attimo anche se non hai un Master in Business Administration a Warthon.

E’ la stessa trappola nella quale cadde Sculley alla Apple e nella quale cadono tutte le aziende nelle quali al timone non c’è un mastino difensore del brand come Jobs ma un CDA che dice:

“Dobbiamo far crescere il nostro giro di affari. E subito.”

Capito ragioniere? Ora, vadi… vadi ragioniere. Vadi lei.

Torniamo al food dolce?

Il sondaggio ti ha detto che la mamma comprerebbe volentieri un pandoro già farcito col cioccolato. E infatti quando lo lanci la mamma lo prova.

Solo che al bambino non piace. Perché al bambino in realtà piace:

  • Il pandoro della sua marca preferita.
  • Con la Nutella o la sua crema al cioccolato preferita.
  • Nelle quantità che piacciono a lui, nel punto dove lo vuole lui (non necessariamente al centro).

Te la faccio più facile? L’idea di far convergere pandoro e ripieno al cioccolato sembra sensata ma non lo é.

Perché il consumatore lo prova ma sulle papille non gli dà il medesimo gusto che amava e al quale era abituato quando se lo farciva da solo.

Anche perché parliamoci chiaro, le creme che puoi mettere dentro un prodotto del genere sono robaccia a lunga conservazione che hanno una resa al palato mediamente orrida. Poi non escono mai bene, arrivano secche, ce n’è poca ecc…ecc…

Quindi il prodotto viene provato una volta, e poi più.

Sai qual è la cosa realmente ridicola? Che l’acquisto di quel pandoro farcito in realtà ha solo cannibalizzato le vendite del tuo pandoro originale, ma non ha realmente aumentato le vendite.

Se vai a vedere i numeri, il fatturato che ha portato quel pandoro nelle tue casse, lo hai perso sempre tu dal pandoro tradizionale.

Così come ogni lattina di Coca Zero che si vende, non è una vendita strappata alla Pepsi. E’ una vendita strappata alla Coca Cola normale. Ci sei?

Prendiamo un altro caso di prodotto che non funziona come i sondaggi avrebbero indicato: i vari panettoncini e pandorini che nascono con lo scopo di diventare una vendita ricorrente tipo prima colazione durante tutto l’anno.

Il presupposto fallace dell’azienda è questo:

I bambini amano fare colazione con panettone e pandoro durante le feste di Natale, sostituendo le classiche merendine e biscotti che usano di solito. Quindi non capisco perché noi che facciamo pandori e panettoni non possiamo trovare un modo di venderglielo tutto l’anno.

Allora il direttore marketing commissiona il sondaggio, se non copia direttamente le aziende concorrenti che lo hanno fatto prima di lui, nella grande strategia marketing che insegnano sempre alla Bites University:

“Se il tuo concorrente si butta in un precipizio tu seguilo e non temere.”

Il sondaggio parte dal presupposto:

“Vedo che suo figlio fa colazione con il nostro panettone. Gli piace vero? Bene. Ma se quindi io le facessi un panettoncino più piccolo che lei potesse comprare durante tutto l’anno per far felice suo figlio e farglielo mangiare sempre a colazione, lei lo comprerebbe?”

A freddo, nel sondaggio, i consumatori rispondono “Sì”. Ma come ti ho già detto, non devi mai fidarti dei sondaggi né della parte razionale del cervello.

Quello che succede in realtà è qualcosa di completamente diverso, perché nella pratica la mente non funziona così.

Lo so che l’esempio dell’Ovetto Kinder lo studiate a scuola e sembra seducente, ma non funziona. Mi dispiace. Non funziona perché lo avete studiato accademicamente ma non lo avete capito.

Ovetto Kinder è un brand (capre, capre, capre direbbe Sgarbi)

  • Nella testa delle persone dice : “Cioccolato e Sorpresa”.
  • Non dice “Pasqua”.
  • Il concetto è ripreso dall’uovo di Pasqua ma il brand creato è completamente nuovo.
  • L’ovetto kinder non ha la forma di un piccolo uovo di Pasqua.
  • E in più ha la formulazione del cioccolato Kinder “con più latte e meno cacao”.

Sono questi gli ingredienti che ne hanno decretato il successo.

Panettoncino o Pandorino non sono un brand.

Sono una cazzo di estensione di linea. Non vi è venuto bene il giochino ragazzi. Sono panettoni e pandori piccoli.

L’Ovetto Kinder NON E’ un cazzo di uovo pasquale piccolo. Lo devo ridire?

Panettoncino nella testa delle persone dice Panettone. —> Panettone nella testa delle persone dice Natale.

Sai cosa dice il cervello della mamma quando vede il tuo cazzo di panettoncino esposto sugli scaffali a Marzo insieme agli ultimi rimasugli dei tuoi panettoni in stra-offerta?

“Minchia questi vendono ancora la roba vecchia di Natale. E guarda sti panettoncini! Manco in offerta sono! Fammi comprare le merendine Kinder fresche per mio figlio.”

Il tuo progetto di vendere panettoncini tutto l’anno naufraga come il Titanic contro l’iceberg e le tue scorte le puoi usare come supposte per te e il tuo direttore marketing che ha commissionato i sondaggi. Tanto sono morbidi.

Ragionere, ci arrivi? No dico, ci arrivi, lei?

La mente non funziona come tu ti aspetti né rispetta quello che dicono i sondaggi.

Devi conoscere il branding se vuoi fare marketing.

Devi conoscere come funziona la mente delle persone senza chiedere. Se devi chiedere, non sai fare marketing. Fine.

Te lo ridico perché non vorrei che avessi saltato la frase nella fretta:

“Se devi chiedere, non sai fare marketing”.



Lo so che secondo il grande Cozzler il Cozzleriano e il metodo Kazzabubbol dell’Università del Pippo Kennedy sto bestemmiando in chiesa, ma è così che funziona.

“Eh mo sei arrivato tu che sai tutto!”

No, io non so un cazzo. Non c’è bisogno di sapere nulla. Basta studiare la storia. E basta conoscere come funziona il brand, cioè gli spazi e le associazioni mentali nella testa dei clienti.

Il primi ariticoli di Al Ries e Jack Trout al riguardo sono del 1972. Mi sembra che qualcuno qui non abbia fatto i compiti e continui a sbattere la testa contro il muro, anche se se la spacca ogni volta.

Mi sembrate tanto il tentativo di varo della Serbelloni Mazzanti vien dal Mare:

“Capovaro… vado?”

“Vadi signora, vadi!”

Siete tenerissimi nei vostri tentativi all’infinito di far funzionare estensioni di linea che non funzioneranno mai.

A voi accademici Don Chisciotte vi fa una ricca sega. Siete tostissimi.

Invece che buttare soldi, risorse, tempo, spazio sugli scaffali in un progetto che non avrebbe mai potuto funzionare (e lo avreste saputo se aveste avuto al marketing uno appena appena capace di intendere e di volere), avreste potuto ad esempio focalizzare il vostro marketing sui vostri prodotti di punta.

Potevate allocare risorse per aumentare la qualità percepita di quei cazzo di pandori e panettoni che ogni anno che passa sembrano sempre più stopposi perché risparmiate via via sulle materie prime.

E’ una catena senza fine. Infatti appena naufragato il progetto di “vender pandorini tutto l’anno” bisogna inventarsi una nuova cosa.

Il genio del marketing quindi se ne esce con:

“Niente sti cazzo di pandorini dopo Natale non ce li comprano. E’ stato un fiasco. Sapete cosa facciamo? Che mangiano le persone la mattina? Brioche e cornetti? E allora facciamo anche noi brioche e cornetti e prendiamoci una fetta di quel mercato no??!!!!1!!!!!”

Anni e anni di università e il meglio che sai tirare fuori è arrivare a buttar fuori una stupida estensione di linea che erode un brand che dice “Pandoro” o “Panettone” e non potrà mai dire “cornetto”.

Per i meno svegli che ancora non hanno capito bene il concetto: questo significa che Melegatti o Bauli o Paluani o Alemagna dovrebbero rinunciare alla crescita?

Niente affatto. Potrebbero sempre lanciare nuovi brand possibilmente in maniera intelligente ed evitando di scopiazzarsi l’un l’altro. Ma servirebbe sempre un direttore marketing dotato di materia grigia.

Volete fare i cornetti? Benissimo, basta che creiate un brand che dica “cornetto” e non dica “Pandoro” come è il brand Melegatti ad esempio o “Panettone” per Motta ecc…

Procter&Gamble, ricordi Rocky? Procter&Gamble. No Pile Mastro Lindo, Rocky! Nemmeno Rasoi da barba Wella, Rocky! Un nuovo brand, Rocky! Non fa male Rocky! Non fa male! NON FA MALE!

Piccola informazione di servizio a proposito di brand: L’italia ha un brand fortissimo per due cose che sono Food e Fashion (moda).

Abbiamo, detto terra terra, una sorta di vantaggio competitivo rispetto a qualunque altra nazione del mondo per il quale qualunque cosa buttiamo fuori in questi due settori, all’estero la vogliono perché gli suona cool e fighissimo.

Solo che serve una connessione e serve credibilità.

Barilla in tre anni è diventata la pasta N° 1 negli USA. Sai perché? Perché ha lavorato di branding e focalizzandosi é uscita con lo slogan :

“La pasta N°1 in Italia”.

Per i competitor non c’è stata più partita.

Le aziende di food dolce da ricorrenza italiane, che anche se le prendo in giro sono una eccellenza straordinaria del nostro paese, hanno una battaglia da combattere nella testa dei clienti e poco tempo.

La regola in questi casi è che chi arriva prende tutto e gli altri mangiano le briciole.

Ci sono copie del nostro pandoro e panettone praticamente in ogni parte del mondo. Nonostante ciò l’esportazione delle nostre aziende di food dolce da ricorrenza si attesta a malapena al 10% dei volumi totali. E’ una cosa ridicola.

Cioè voi avete dei CDA che si affannano per sputtanare il brand aziendale, cercando di ravanare briciole in un mercato che è uno sputo di culo come l’Italia vendendo estensioni di linea idiote come i cornetti al limone e i panettoncini al Fernet Branca… e nessuno sta combattendo la battaglia per diventare una potenza globale?

Con il food? Che se sputiamo gli stranieri si tuffano con la lingua pensando che sia acqua benedetta e pure trendy?

La verità è che i brand sono collassati nel corso degli anni e si sono sputtanati quindi non rappresentano più realmente qualcosa che sia spendibile con chiarezza all’estero.

La regola base del brand positioning afferma che se vuoi andare all’estero devi essere estremamente più focalizzato che nel tuo mercato nazionale.

Barilla: “La pasta N° 1 in Italia” è una connessione di brand potente che ha creato un dominio assoluto in soli tre anni.

Non potrebbe essere Melegatti il prossimo successo internazionale?

Melegatti, il Pandoro: “Il dolce di Natale n°1 in Italia”

oppure sarà

Panettone Motta: “Il dolce di Natale n° 1 in Italia” ?

O ci arriverà prima qualcun altro?

O nessuno farà niente e continueranno a ragionare su base stagionale con una visione miope?

Il primo che arriva prende tutto. Il brand è una battaglia di percezioni. Se arrivi secondo hai perso, se arrivi terzo non esisti.

Vogliamo darci una mossa per portare le eccellenze italiane nel mondo o vogliamo continuare a farci i pompini a vicenda nei CDA tra sondaggi e direttori marketing non convenzionali, pensando a che gusto nuovo lanciare il prossimo cornetto da colazione?

Vedete voi.

La battaglia dei panettoni

Le aziende e le agenzie di marketing fanno sempre due errori madornali e collegati quando si parla di creare una campagna e sono nell’ordine:

  1. Ragionare per categoria e non per brand
  2. Basarsi sui sondaggi

Detto in maniera più semplice possibile a prova di tecnicisimi anche per i più neofiti:

Tutte le aziende di food dolce da ricorrenza quando devono promuovere il loro panettone o pandoro pensano alla categoria, quindi la domanda sbagliata che si pongono é:

“Come posso vendere di più il mio panettone?”.

Per rispondere a questa domanda, l’approccio accademico è quello di “ascoltare la voce dei clienti”.

Solo che ascoltare la voce dei clienti non funziona MAI, perché se chiedi ai clienti cosa vogliono, ti accorgi che i clienti ti dicono “TUTTO”.

Se chiedi ai clienti come vorrebbero un’auto di fascia alta ti rispondono :

  • Lussuosa,
  • con begli interni,
  • sicura,
  • affidabile,
  • potente,
  • veloce,
  • che sia piacevole da guidare,
  • che consumi poco,
  • che non inquini,
  • che sia spaziosa,
  • con un bagagliaio capiente”.

BMW faceva campagne che dicevano tutte o molte di queste cose e andava molto male, specialmente in USA.

Poi un giorno capì l’importanza della focalizzazione e si concentrò su un singolo attributo: guida.

Nacque quindi lo slogan:

“The Ultimate Driving Machine”

o “L’auto perfetta da guidare” che l’ha portata ad essere la tedesca di lusso prima al mondo.

L’adattamento italiano “il piacere di guidare” è impreciso e infatti BMW è terza in Italia dietro Audi e Mercedes mentre nel mondo è prima… o meglio lo è stata finché non ha cambiato focus con “Joy” ma non impelaghiamoci.

Rimaniamo sul concetto fondante e cioè che:

Per scalzare la concorrenza non devo ascoltare quello che vogliono i clienti.

Devo ragionare come brand in opposizione ad altri brand e non come categoria.

E quindi devo focalizzarmi per rappresentare qualcosa di specifico nella testa dei clienti.

Se ragioni come categoria non riesci a differenziarti e quindi finisci per forza a fare vuoto e inutile marketing creativo.

Se ti affidi ai sondaggi non sai cosa dire perché i clienti dicono “Tutto”.

Altra cosa divertente: come tu fai i sondaggi, anche i tuoi competitor che ragionano come te perché lo hanno imparato a scuola, fanno i sondaggi.

Dai sondaggi ottenete tutti le stesse cazzo di risposte IDENTICHE, ci avevi mai pensato?

Quindi finite per dire tutti le stesse cose, in modo assolutamente uguale!

E se dite tutti le stesse cose, a meno che non faccia cazzate clamorose ripetute per decenni, il primo che si è imposto nella testa delle persone continua a vendere più di tutti.

Ma non è certo perché ha preso il direttore marketing laureato a Harvard.

E’ perché se sei primo nella testa delle persone da un centinaio di anni abbondanti fai veramente fatica a vedere un calo delle vendite, anche se al tuo panettone o pandoro alleghi un CD con Valerio Scanu che scoreggia e rutta (Si chiama sarcasmo, non cominciate a rompere le palle. Fatevi una risata e fine).

Prendiamo l’esempio dei panettoni.

Chi ha la leadership nel settore? Se non vado errato ancora la Motta. E l’avrà per sempre finché qualcuno non si deciderà a fare qualcosa che sia un lavoro di marketing basato su “Brand vs Brand” e non sondaggi di categoria.

Ora prendiamo un competitor a caso come Paluani. Cosa dice Paluani di sè stessa per promuoversi?

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I classici sarebbe la linea che comprende i panettoni e i pandoro (si dice pandori al plurale? Boh.)

Sto slogan “Dolci da ricorrenza di Alta Qualità, classici della bontà Paluani” che significa? Nulla. C’è qualcuno dei concorrenti che è disposto a dire:

Facciamo dolci di bassa qualità e un po’ come
ci escono dal forno te li pigli?”.

Ovviamente no.

E’ un messaggio generico che può usare chiunque tra i concorrenti. L’Alta Qualità è qualcosa che non esiste o meglio non si percepisce e non può essere usata come argomentazione di marketing.

Serve qualcosa di meglio, ma andiamo avanti.

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Stiamo sul prodotto di base che è il panettone classico.

Vediamo lo slogan che é :

“Classico, Morbido, Gustoso”.

Ma che vuol dire? Come può contrapporsi alla leadership di mercato di Motta la Paluani con un claim così generalista e assolutamente non focalizzato? Non può.

E’ necessaria una focalizzazione più precisa o altrimenti la battaglia è persa in partenza.

Perché c’è scritto “Classico, Morbido e Gustoso” secondo voi?

Ma per un motivo molto semplice che è sempre il solito: se chiedi ai clienti come vorrebbero il panettone cosa ti rispondono? Che lo vogliono:

  • Classico (il panettone classico è da sempre il più venduto rispetto a tutte le varianti senza canditi o farcite ecc…),
  • Morbido
  • e Gustoso.

Qualcuno secondo voi a un sondaggio risponde che vorrebbe un panettone:

“Strano e mai visto, stopposo e insipido”?

Mi sa di no vero? Anche tu cominci a vedere la follia dietro a tutto questo? Ma serve uno laureato ad Harvard per scrivere “Classico, gustoso e morbido” su un panettone? Boh. La possiamo finire con tutti sti sondaggi e smetterla di farci ridere dietro?

Cerchiamo di fare marketing come si deve? Ok seguimi.

Innanzitutto va riconosciuto a Paluani la scelta corretta del colore rosso per contrapporsi a Motta e anche a Melegatti che usano il blu e il blu/azzurro. Rosso è anche il colore del Natale quindi questo gioca a loro favore.

Poi vediamo che sulla confezione ha altre cose indicate:

  • Uso del latte fresco italiano
  • Energia 100% pulita (per fare non si sa bene cosa però)

Adesso seguimi.

L’approccio migliore è quello di decidere innanzitutto quale posizione il brand del Panettone Paluani (hanno anche l’alliterazione P -P quindi sono avvantaggiati nel naming rispetto a Motta, Alemagna, Melegatti ecc…) dovrebbe occupare nella mente.

Per quanto riguarda il panettone, le possibilità sono cinque:

  1. Classico
  2. Morbido
  3. Gustoso
  4. Con latte italiano
  5. Energia 100% pulita

Se la storia insegna, l’azienda Paluani deciderà di continuare ottusamente a promuoverle tutte e cinque.
Non la ritengo una buona idea.

Ciò è quanto tentò di fare anni fa la BMW per inserirsi sul mercato americano. Un tipico spot pubblicitario dei primi anni ‘70:

“BMW è una combinazione unica di lusso, prestazioni e maneggevolezza. Con consumi da lasciare a bocca aperta”

Come detto prima, la BMW non sfondò fino a quando non concentrò l’attenzione sulla “guida”, un concetto su cui l’azienda continua a puntare ancora oggi.

Se è stato possibile creare il brand del veicolo di lusso più venduto al mondo con un singolo attributo, perché non potrebbe essere possibile farlo per un panettone?

Il suggerimento da me proposto sarebbe quello di focalizzarsi sul concetto di “Nutriente”, cioè di puntare sul latte fresco italiano.

Paluani dovrebbe aggredire il target delle mamme e dei genitori in generale instillando l’idea che il loro panettone sia il più nutriente.

Il latte nell’immaginario comune è l’alimento nutriente per eccellenza. Non serve stupida creatività.

E la denominazione fresco e italiano fa la sua bella differenza per rinforzare il concetto.

Ti ricordi il Kinder Cioccolato? Basò il suo successo esattamente su questo meccanismo:

Puntare alle mamme ricordando loro che c’era:

“Più latte e meno cacao”.

L’attributo che Paluani dovrebbe sforzarsi di possedere è il concetto di nutriente e focalizzarsi sul latte fresco italiano è la loro soluzione.

Classico, morbido, gustoso e energia pulita 100% devono sparire dalla confezione e il visual andrebbe perfezionato con l’immagine della brocca di latte che viene versato direttamente dentro il panettone.

Gli spot in televisione e in generale ogni visual dell’azienda dovrebbe riportare l’immagine del latte che entra nel panettone. Ti ricordi l’immagine di Dove, con la crema idratante che veniva versata direttamente nella saponetta? Ecco.

“Dove” si focalizzò sull’attributo “soffice” e la crema idratante era il visual hammer che rendeva credibile l’attributo.

Il latte fresco italiano é l’ingrediente segreto che rende credibile la focalizzazione su “nutriente” del Panettone Paluani.

Poi serve un Battlecry che esprima il concetto e lo renda immortale nella testa dei clienti, da ripetere per i prossimi decenni.

Gli ingredienti della base del panettone a parte burro, i canditi e l’uvetta ecc… sono tre: farina, uova e latte.

Bisogna quindi sottolineare l’importanza della presenza del latte fresco italiano, quantificandola.

La mia proposta sarebbe:

Panettone Paluani: 

Più nutriente per il tuo bambino
con il 100% di latte fresco italiano.

Qualche “creativo” è in grado di battere questa proposta? Direi di no.

Bambino e italiano hanno anche una rima quasi perfetta quindi il Battlecry suona da solo.

La creatività è quella cosa inutile che usi con frasi sconclusionate quando hai l’ingrato compito di spingere la categoria a casaccio e non il tuo brand.

Ma se focalizzi i tuoi sforzi in una direzione il marketing diviene una scienza semplicissima come dimostrato qui sopra.

Il Panettone Melegatti é in difficoltà

Il Panettone Melegatti è in difficoltà per due motivi molto semplici:

  1. Il panettone é milanese e Melegatti é di Verona
  2. Melegatti significa “Pandoro”, non Panettone nella testa delle persone.

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Melegatti presenta il suo panettone come Classico nel front del packaging. Evidentemente hanno fatto anche loro gli stessi sondaggi di Paluani perché vedo che “Classico” è proprio classico (nel senso che lo usano tutti).

Scusate un secondo di polemica a fin di bene poi smetto. Ma il direttore marketing o chi per lui non lo vede che “Classico” è la stessa cazzo di scritta che sta sulle scatole dei concorrenti? E allora che ce la metti a fare? Ok, ho smesso torniamo a noi.

Poi capeggia in basso a destra “ricetta tradizionale”. Ma ricetta tradizionale non è un claim credibile (anche se fosse vero) per il panettone Melegatti, perché Melegatti è associato al pandoro non al Panettone.

Insomma, tra

  • Classico
  • Ricetta tradizionale
  • Impasto soffice e delicato
  • Con squisiti canditi e morbida uvetta

è piuttosto difficile trovare un attributo che spicchi nella testa dei clienti e gli faccia dire “Questo non è la copia di Melegatti dell’unico vero panettone che è Motta”.

Dicevamo prima e anche nell’articolo precedente che Melegatti è appunto famosa per il pandoro e non per il panettone, e questo nelle vendite del su panettone potrebbe essere, anzi è, un problema.

Un problema che però può essere risolto con la focalizzazione, come sempre.

L’effetto alone sarà il segreto del successo di Melegatti

Per vincere il rumore di fondo nella società ipercomunicativa di oggi e sugli scaffali sempre più saturi della GDO, bisogna puntare innanzitutto i soldi del marketing sul cavallo migliore. E poi lasciare che il prodotto di punta crei un effetto alone per il resto della linea.

Prendiamo Fed Ex come esempio. Il massimo successo lo ha avuto quando si focalizzò sullo slogan:

“Quando deve assolutamente e decisamente
arrivare entro domani mattina”.

Certo, la FedEx ha anche altri servizi, comprese le consegne in due tre giorni. Ma se fa un lavoro magnifico nelle consegne entro la mattina successiva dovrebbe essere molto brava anche in tutti quegli altri servizi no?

Questo é l’effetto alone che Melegatti può sfruttare a proprio favore. Ma é un processo a medio termine, di ristrutturazione aziendale. Non una scomposta strategia di marketing non convenzionale buttata a casaccio per sfangare le vendite di questo Natale con un segno positivo.

La Gillette mette i suoi soldi di marketing dietro al brand più recente di rasoio che lancia. Il suo brand di punta ha una quota stabilmente intorno al 55% del mercato dei rasoi e la stessa Gillette domina il mercato della rasatura a mano con una quota dell’80%.

Melegatti ha bisogno di fare esattamente quello che ho scritto nell’articolo precedente per rilanciare con forza anche il suo panettone: Puntare inizialmente tutto sul Pandoro ribadendo che é l’Originale.

Ho avuto una caterva di messaggi negli ultimi due giorni che mi ringraziavano per avergli fatto sapere che Melegatti è IL Pandoro originale. Non lo sapevano.

E’ come non sapere che la Coca Cola sia l’originale e Pepsi la copia.

Ragazzi al marketing della Melegatti, sarebbe ora di darsi una svegliata perché state dormendo da troppi anni. Scusate se sono diretto ma quando vedo ste cose con un brand stellare come il Pandoro Melegatti mi incazzo.

Ciò detto, dopo aver riportato il brand del Pandoro a risplendere con chiarezza serve una strategia che “colleghi” nella mente il panettone con il pandoro, tramite un attributo. Sì ma quale?

Adesso seguimi:

Il Pandoro per essere “a norma” deve avere una quantità di burro di minimo il 20%, a differenza del panettone che può attestarsi anche al 16%. Queste cifre servono a farti capire che il Pandoro grazie alla maggior quantità di burro è per definizione – oltre che empiricamente – il dolce più soffice del Natale.

Un’altra curiosità: il panettone è preferito dagli uomini e dalle persone più mature, mentre il pandoro trova i suoi estimatori principalmente tra i giovani e le donne.

Sarebbe saggio quindi lasciare a Motta il concetto di “Originale”, senza inseguirlo con sinonimi più deboli tipo “Classico” o “Tradizionale” e focalizzarsi su un target e un attributo proprio.

Serve quindi un attributo che polarizzi il panettone Melegatti rispetto al target naturalmente più “maschile adulto” del panettone, verso una sensibilità più femminile e fanciullesca affine al pandoro, nel quale Melegatti è già Leader.

L’attributo che proporrei a Melegatti è la morbidezza:

L’essere il panettone più soffice di tutti.

  • Se Melegatti è IL Pandoro allora –>
  • Melegatti = Gli inventori del dolce più soffice del Natale, allora –>
  • Il Panettone Melegatti é il panettone più soffice.

Bello no? Non c’è nulla di creativo. Basta conoscere ed esplorare nella direzione giusta le connessioni mentali che sono già presenti a livello embrionale nella testa delle persone.

Gli slogan che girano oggi in Melegatti non vanno in quella direzione focalizzata:

  1. “Quando il buongiorno si vede dal mattino.”

  2. “In ogni momento della giornata.”

  3. “Soffici tentazioni per tutta la famiglia.”

  4. “Il piacere di stare insieme con dolcezza.”

come già ribadito più volte non significano nulla.

Classico, tradizionale, con l’uvetta e i canditi dolcissimi non parlano del brand. Parlano della categoria.

E’ l’errore base del marekting non focalizzato.

Ma soffice, soffice è l’attributo che Melegatti può sviluppare per il suo panettone, perché è già contenuto embrionalmente nella testa delle persone quando pensa a Melegatti.

Gli va data solo una spintarella con il marketing.

Quindi Melegatti prima si dovrebbe concentrare a rilanciare con focus il suo pandoro, e poi sarebbe la volta del suo panettone.

Come ho già detto il packaging si può migliorare per migliorare quella connessione. Alla confezione del panettone mancano le bande dorate che devono differenziarlo dagli altri panettoni con scatola blu. Motta in primis e tutti quelli di fascia più bassa.

Le fasce dorate devono significare Melegatti. Melegatti significa “panettone soffice”.

Volendo fare un’operazione molto ardita potrebbero anche lanciare uno spot per il panettone che parla in realtà del pandoro e vende entrambi i prodotti in maniera indiretta:

” Domenico Melegatti. Dalla ricetta segreta dell’inventore del pandoro,
il dolce più soffice del Natale, nasce il Panettone
dalla morbidezza unica…”

immagini varie di uno che impersona il fondatore mentre impasta, sforna e serve a tavola il panettone ai bimbi e alla famiglia che “schiacciano il panettone soffice ridendo”… e poi si va con il Battlecry:

“Melegatti: Il panettone più soffice rende il Natale più felice.”

  • Paluani può possedere l’attributo “Nutriente”
  • Melegatti può possedere l’attributo “Soffice”.

Pensa a qualcosa di soffice… un batuffolo, un cucciolo, un cuscinone… la parola soffice è legata intrinsecamente al concetto di “felicità”, non è vero?

La cosa bella è che felice fa rima con soffice, quindi anche un potentissimo Battlecry è servito su un piatto d’argento.

Facci caso, una rima non causale o creativa. Una rima che rinforza una connessione tra sofficità e felicità che è già presente istintivamente nella mente delle persone.

Ovviamente, vorrei che non ci fosse bisogno di dirlo, Melegatti ha bisogno di tornare contemporaneamente a “investire” sui suoi prodotti, Pandoro e Panettone in primis per fare in modo che aggiungendo buon burro quanto basta siano realmente i più soffici.

La connessione mentale ce l’hanno gratuitamente ma poi non devono prendere in giro i clienti e la qualità Melegatti negli ultimi anni ha ricevuto più di qualche critica e suscitato più di una perplessità.

Ogni principio della psicologia ha un’applicazione nel marketing.

Non servono le “survey” e le supercazzole. Serve conoscere l’animo umano e avere qualche manager che non abbia venduto i coglioni al banco dei pegni.

Spero per Paluani e Melegatti che qualcuno nel loro ufficio marketing sia in ascolto e porti due aziende orgoglio della nostra tradizione verso un futuro più radioso rispetto a quello che hanno scelto da qualche anno a questa parte.

Con il posizionamento si può vincere la battaglia del marketing in settori dove l’estensione di linea sembrava l’unica via.

Alla prossima.

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144 pensieri su “La Battaglia del Panettone che si vince con la focalizzazione

  1. Un trattato di marketing!
    Ho come l’impressione che al prossimo corso VV avremo gli illustri rappresentanti del settore dolciario da ricorrenza operanti nel panorama italiano 🙂
    Nel caso…NON vengano a mani vuote! 😉

    Sembrano concetti facili ed ovvi, ma in realtà sono controintuitivi per cui ci vuole molto tempo prima che la nostra mente li assimili e li automatizzi.

    Grazie Frank perchè ogni volta che leggo un articolo sul branding qualche tassello nella mia testa va al suo posto.

    Andrea – VV certificato – ottobre 2015

  2. bella lezione “seconda Parte”, purtroppo quello che dice è la verità, ma nei CDA delle aziende vogliono sempre raggiungere risultati super veloci “anche se non duraturi” e si riempiono di orgoglio presentando il mega direttore del C…… che si è laureato a …….. ma che come giustamente Lei ha spiegato nei Suoi articoli, basa tutto sulla teoria studiata ma mai applicata, e questi sono i risultati. di positivo solo lo stipendio che percepisce…
    Grazie per la lezione.

  3. Bell’articolo! Ti volevo dire però che il concetto di posizionamento in realtà viene insegnato in modo abbastanza corretto a livelo accademico e l’esempio che hai citato di P&G era il primo a venir proposto (ed anzi, io ho avuto anche tra i vari libri di testo consigliati uno di Al Ries che mi pare si chiamasse Marketing alla Rovescia). Il fatto, a mio avviso, è che quando si trovano a dover prendere decisioni i manager dimenticano i concetti accademici e si fanno prendere dalla fobia dei costi. Ad esempio immagino che, dietro all’idea dei cornetti Melegatti, ci sia un ragionamento del tipo “se lasciamo lo stesso nome dobbiamo fare meno pubblicità”. Io credo che il problema più grosso del management moderno sia “l’obbligo della controcifra”.

  4. Sembra di tornare ai bei tempi delle lezioni di semiotica della pubblicità, quando studiavo Ogilvy e Barthes. Sarebbe bello un prossimo articolo su FCA ed i suoi marchi: estensioni di linea come 500X, L, XL, focus sulle utilitarie (Panda, 500), brand dedicati alla sportività (Alfa) ed al pregio (Lancia / Maserati), originalità di Jeep, brand nuovo per SUV, abolizione di fasce concorrenti di prezzo interne come nella GM degli anni d’oro etc.. Giuro che lo giro ai caponi.

  5. Commento questo splendido post dal basso della mia piu’ totale ignoranza in materia quindi mi soffermero’ sulle emozioni che ho vissuto leggendolo.
    -Rabbia (Perche’ mi incazzo dover constatare che le aziende italiane rischiano il fallimento o perdono terreno per i motivi da te esposti)
    -Risate a crepapelle ( per il tuo modo di spiegare alcuni concetti ,esempio i rimproveri a fin di bene e le tue incazzature)
    – Pianto (si, mi sono commosso,da ex piccolo imprenditore che non c’è l’ha fatta,nello scoprire quanti errori ho commesso nel mio percorso imprenditoriale e la cui colpa facevo ricadere sulla crisi e sulle tasse…..balle porco zio, balle.Il colpevole ero io purtroppo.)
    -Speranza (per tutti gli imprenditori italiani che vivono momenti di difficolta’ ma che sono ancora in tempo a cambiare passo.)
    Spero vivamente tu possa diventare un punto di riferimento in italia per i nostri imprenditori (e credo lo sei gia’) perche’ sono i risultati inconfutabili che hai ottenuto con le tue aziende che parlano per te.
    Ps: sono ormai alcuni anni che entrando in un supermercato o ipermercato durante le feste natalizie la prima cosa che si presenta davanti ai tuoi occhi sono una montagna di panettoni e pandori di tutti i generi e tipo , risultato? riluttanza e avversione verso questi prodotti.

  6. Frank, che dire, una lezione estremamente illuminante di brand positioning e marketing in un solo post, spero davvero che qualcuno dall’alto dei loro MBA ti legga. Sei un grande, saluti dal Messico!

  7. …e come per il pandoro investimento in qualità e branding vs categorie, risparmiando i soldi di campagne marketing e linee defocalizzate. PS: Complimenti per l’ottimo copy, come sempre!

  8. Caro Frank, lungi dal voler apparire “sdolcinato” penso che questo articolo pare tratto dall’enciclopedia del branding di Al Ries.
    Contiene una marea di spunti, che anche noi piccoli imprenditori, dobbiamo masticare e applicare.
    Quando si dice contenuti di valore…eccoli al loro meglio.
    Grazie

  9. Ottimo articolo, molto esaustivo!!! Mi piacerebbe che espòlorassi con la stessa competenza e schiettezza di linguaggio, i brand di sigarette non nel mondo ma nel mercato italiano privo dell’arma pubblicitaria classica e scarsa leva di prezzo!!

    • Se qualche azienda del settore vuole staccarmi un assegno con 6 zeri lo faccio volentieri 🙂

  10. E’ proprio il caso di dire che ci sia il rischio che Melegatti non arrivi a mangiare al Panettone… ( concento calcistico… lasciate stare ).

    Frank, questo è un saggio a tutti gli effetti. Complimenti per aprire la mente a molti che si credono arrivati e per tentare di mettere del tuo.

    Dubito che più del 5% legga interamente questo articolo, spero di essere smentito ( rispondete qui sotto 😀 ). Valgono più i case study che i libri di teoria.

    Da me in Calabria c’è un detto “A pratica ruppi a grammatica”.

    Ciò significa che è l’azione, l’esperienza, la pratica, la realizzazione delle cose che ti fanno capire quanto sei esperto, quanto ne capisci, quanto lontano puoi arrivare.
    Non quanto ne sai né quanti libri hai letto.

    Ancora complimenti.

    PS: comunque ho l’acquolina in bocca…

  11. Ciao Frank,

    1 Focus

    2 Categoria

    3 Verbal Nail

    4 Visual Hammer

    5 Battlecry

    6 Grazie Frank

    Ciao Emanuele

  12. Molto interessante, spero che qualcuno ti dica almeno grazie per la consulenza !
    Non credo che per scrivere questo post ci hai messo proprio cinque minuti ! ????

    Grazie da parte mia e alla prossima !

  13. …che spettacolo. Il giusto Melegatti 2 che ci si poteva aspettare dopo l’articolo precedente.

    Direi che in poche pennellate, hai tracciato la mappa della via della salvezza.
    Se alla Melegatti c’è qualcuno di appena poco ricettivo, si stampa l’articolo e lo fa scivolare in azienda nelle mani e nel cervello giusti (c’è di sicuro. Sarà solo ben nascosto, come capita spesso in queste lande sotto le Alpi).

    E poi, qualcuno, sempre alla Melegatti, potrebbe considerare di “risparmiare” sul budget destinato ai panettoncini al Fernet Branca, per riversarli in un fondo Spese Marketing Serio con cui chiamare il professionista serio di cui sopra a raddrizzare la rotta (e anche qualche schiena, visto che ci siamo).

    (Frank, in fondo, se non possono pagarti, tagliano l’inutile e mettono via! Le persone lo fanno normalmente, se devono investire seriamente…comprese le persone che vengono ai tuoi corsi, e hanno risultati. O fanno tutti Rothschild, di cognome, i tuoi studenti?) 😀

    Lo so. Sono un’ingenua.

  14. Scusami, inizio con una sviolinata che non è fine a se stessa.
    Ti seguo con interesse da circa 1 anno e ti dico subito cosa mi piace di te (ommetterò cosa non mi piace, tanto non te ne frega, giustamente un cazzo).

    Mi piace il fatto che chiedi a chi ti segue tempo “datemi 5 anni” e io te li darò.
    Poi mi piace la metamorfosi che hai avuto negli ultimi 6 mesi, si vede e si sente che sei felice.

    Detto questo, sono convinto che crescita ed arricchimento significhi confronto.
    Mi sono letto con attenzione questo tuo secondo articolo a pochissime ore dal primo,
    ad un certo punto mi era sembrato di poter trovare qualcosa, non dico sul quale non era d’accordo, ma sul quale avrei potuto aggiungere io del contenuto.
    Era relativo agli “Ovetti Kinder”, forse ti era sfuggito; era solo una illusione, argomento ripreso e completato a tre questi della tua analisi.

    Però non mi rassego e un argomentino, magari parallelo, e che forse aggiunge un qualcosa cè l’ho.

    Parliamo della storia, hai ragione un’altra volta, a da lei che si impara!
    Da tempo il claim dell’ovetto non è più “più latte e meno cacao”, anche perché i produttori di cioccolato hanno vinto la loro battaglia che giudicavano allarmante nei confronto del cioccolato quel messaggio;
    oggi parliamo di Kinder-Sorpresa, lo hai citato anche tu.
    Secondo me la forza ora è tutta in questo termine SORPRESA, inutile dire quanto sia attrattiva per i bambini, ma lo è anche per le mamme che vogliono gratificare i loro figli, appunto con la sorpresa.
    Ovviamente non andrebbe bene per il Pandoro Melegatti, ma è una chiave di lettura, per un’altra analisi.

    Un’altro aspetto sul quale sono da sempre convinto e quindi d’accordo con te, è il fatto che,
    “L’italia ha un brand fortissimo per due cose che sono Food e Fashion (moda).”
    Però anche qui vorrei aggiungere: “facciamo in fretta” perché le cose stanno drammaticamente precipitando.
    Per concludere,credo di aver letto che non sia consentito mettere un link, perché più di me sarebbe stato illuminante un video che ti avrei voluto condividere, se i tuoi amministratori me ne daranno la possibilità, penso possa valere la pena vederlo e, credimi, rielaborato dal tuo pensiero potrebbe aprire una nuova era.

    Grazie per l’attenzione
    Fabio

  15. Mi sa che non riceverai mai la Laurea Honoris Causa alla Bocconi 🙂

    Un articolone pieno zeppo di nozioni che dette cosi sembrano semplici e banali con un linguaggio molto schietto.

    Un linguaggio lontano anni luce di quello retorico e accademico dei vecchi tromboni a cui l’uccello non si alza manco con una siringa di cemento.

    Che altro si può aggiungere ad un articolo cosi ? Chapeau !!!

  16. Bellissimo articolo e degno seguito del primo.
    Puoi metterli insieme, stamparli ed hai già pronto il prossimo libro o la tesi da esporre alla laurea honoris causa, anche se temo che nel mentre ti sia inimicato un po’ di accademici 🙂

    Se con l’altro hai fatto 100.000 visite e passa in un giorno, con questo sfondiamo i 500.000?

  17. Articolo spaziale, grazie Frank!

    Questa è la dichiarazione di guerra definitiva agli accademici, non vedo l’ora di vedere che cos’hai in serbo per loro per il 2016…

    Ne vedremo delle belle 😀

  18. Ottimo articolo. Comunque l’ovetto Kinder alla fine è un’imitazione dell’uovo pasquale. Quello che gli ha parato il culo è che ha la sorpresa. Il gioco è l’elemento occulto che collega i prodotti alimentari di successo per bambini, vedi happy meal e via dicendo.

  19. Grazie Frank
    grande lezione di branding positioning.
    Ho solo una domanda: ma come cazzo fai ad essere così produttivo?
    Dicci la verità … il tuo è un lavoro di equipe ed hai uno stuolo di copywriter.
    Ancora grazie

    • Adriano faccio prima a scrivere che a spiegare ai copy cosa scrivere in questi casi. Un brand report non è delegabile 🙂

  20. Tutto perfetto Frank!
    Così facile da capire… Mah!
    Io, fossi in Melegatti, mi sentirei in dovere ti darti delle royalties.
    Ma penso invece che si inventeranno qualche cazzo di altra strategia tipo “Il Pand’Oro che luccica di dolcezza” producendo un Pand’Oro con scaglie di cioccolato dorato. ????????????
    Grazie

  21. Ciao Frank,
    sono un tuo avido studente e desidero ringraziarti per tutti i tuoi insegnamenti sul brand positioning.

    Se me lo concedi e non ti disturba rispondermi, avevo due domande da farti su alcuni concetti che hai espresso nel report ma che non ho ben capito.

    Le mie domande sono queste:

    1. Come trovare gli attributi? In questo caso, un’ intervista ai potenziali clienti può fare al caso?

    2. Per sfruttare l’effetto alone del brand principale su un secondo prodotto ( es. Panettone su Pandoro ), il gancio deve sempre essere costituito da un attributo o il collegamento si può fare anche in altro modo?

    Grazie mille.

    • Ciao Giovanni,

      ho scritto un report di 32 pagine per spiegare che NON DEVI FARE INTERVISTE AI CLIENTI porcoddue e mi chiedi se devi fare interviste ai clienti? 🙂 Eddai cazzo, poi mi fate passare per cattivo.

      Gli attributi si trovano con un’analisi di branding, cioè essenzialmente osservando ciò che è già di “proprietà” della concorrenza e lavorando su quale spazio rimasto sia credibile per me. Un mio attributo deve essere credibile altrimenti non è un attributo.

      Per il secondo prodotto devi avere un attributo che colleghi il secondo prodotto della stessa famiglia in maniera credibile.

      Ma non c’è una formulina magica, serva anche qui un’analisi di cosa fa la concorrenza e di cosa puoi fare tu.

      Se rileggi gli esempi che ho fatto sono piuttosto chiari al riguardo.

      Ho fatto un esempio di Paluani dove l’attributo é passabile direttamente. Se Paluani si focalizzasse sul latte fresco italiano potrebbe portare il concetto di “Più nutriente” sia sul panettone che sul pandoro ad esempio.

      Ma Melegatti non può portare il concetto di “originale” sul panettone perché ovviamente è un attributo di Motta. Allora deve trovare una submodalità credibile come ti ho mostrato.

      Ma serve un’analisi del prodotto, della concorrenza ecc… 😉

      Ciao e buon lavoro.

      PS: quando hai domande scrivile nell’area riservata se sei uno studente, non nel blog.

  22. La birra al limone è una delle schifezze più incredibili io abbia mai bevuto.
    E mi piace la birra. E mi piace la limonata.
    Articolo capolavoro.

  23. Questo articolo mi è piaciuto ancora più dell’altro!!
    Veramente ho imparato di più da questi due articoli che durante gli studi di Economia.

    Più ti seguo e più mi rendo conto di quante cose non so che devo studiare e imparare.. cosi tante che mi sorge la domanda: come si fa ad avere il tempo di studiare tutto ciò e poi di continuare a farlo mentre si applica?

    Grazie e spero di avere in futuro l’opportunità di imparare direttamente dal Maestro.

    • Usi i ritagli di tempo per studiare e non per le cazzate. Come ho sempre fatto io sin da ragazzo 😉

  24. Questi ultimi due articoli me li stampo e li racchiudo in raccoglitore intitolato: L’enciclopedia di Frank.
    Sei immenso. Grazie per l’enorme valore che distribuisci gratuitamente.
    A presto 😉

  25. Sei davvero un genio illuminante. Come spieghi tu le cose in modo chiaro e piatto, non ho ancora trovato nessuno.Ti auguro di avere un mare di figli con la tua testa…perchè la clonazione ancora non è possibile! 😀 Grazie ancora Frank!

  26. Articolo meraviglioso.
    Rformulerei il battlecry

    Panettone Paluani:
    Più nutriente per il tuo bambino
    con un terzo di latte fresco italiano.

    Con

    Panettone Paluani:
    Più nutriente per il tuo bambino
    Grazie al 100% di latte fresco italiano.

    Quell”un terzo’ potrebbe far pensare che gli altri due terzi siano o turco o della Cambogia!

    Piacere di leggerti, veramente.

    • Può essere una buona variante. Grazie per il contributo.

      Anzi, riflettendoci a mente fredda (oggi ero veramente stremato) mi convince di più la tua soluzione perché esprime in maniera ancora più diretta e non fraintendibile il messaggio, bravo davvero. La cambio in tuo onore nell’articolo.

      Bravissimo Daniele.

        • Hai sintetizzato molto meglio di me il concetto. Ci ho girato intorno al meglio ma sentivo che ero stanco e non mi veniva. Tu hai centrato il bersaglio come avrei voluto fare io. Ancora bravo.

  27. Scopro solo ora e leggo con molto interesse…
    Concordo su quasi tutto. Ma il punto di partenza a mio avviso non è correttamente “focalizzato”.
    Il problema non è il fatto che le aziende si ostinino a fare marketing ” kotleriano” ma l’ esatto contrario.
    Il problema è che le aziende si ostinano a non farlo. E in questo delirio manageriale lo stesso kotler si è messo a sfornare libri che assecondano le sciocchezze che i manager fanno.
    La mia opinione è che kotler sia vittima di se stesso e fornisca ai suoi clienti principali (aziende e manager) quello che vogliono sentirsi dire per giustificare la visione miope e la pianificazione cieca.
    Il kotler della soddisfazione dei bisogni, apparentemente superato dal kotler delle regolette facili facili e dei libri strenna stile bruno vespa, è esattamente alla base di quello che correttamente viene sostenuto in questo bellissimo articolo.
    Non più tardi di una settimana fa spiegavo alla mia classe che le ricerche di mercato sono alla base di tutto ma purchè noi siano fuorvianti o capziose. Studiare i bisogni non vuol dire fare domande stupide tipo ” ti piacerebbe che…” Ma capisco la provocazione. Anche io concordo che la maggior parte delle ricerche vengano fatte per provare una teoria incece che per capire le dinamiche del mercato…
    Con il punto fermo della soddisfazione dei bisogni del kotler “d’epoca” (o “classico” come il panettone), il brand management prende il suo pieno significato e non a caso Ries e Trout sono per me centrali per spiegare cosa è il marketing e cosa è la confusione manageriale.
    Detto questo, ottimo! Sarà di ulteriore ispirazione.

    • Bravo Michele, se sei un insegnante, occupati di portare un po’ di saggezza nel mondo accademico. Io non posso farlo, ma ce n’è tanto bisogno, come vedo sai già meglio di me.

  28. Sempre tanta roba.

    P.s.: ma se ti faccio incazzare anche io con il mio brand, lo fai un articolo così anche per me?

    P.p.s.: scherzo. tks

  29. Frank ottimo articolo, fantastiche correlazioni e stupenda “consulenza”.
    Vorrei aggiungere una provocazione ….ma se alla base di tutto non ci fossero i soldi ?
    Se alla fine sei nudo e fa un freddo cane ?……un bel bagno caldo e una sauna ti rimetterebbero in forma ( per poco tempo ).
    Forse il tempo per trovare qualche vestito, oppure qualcuno che te li regala.
    Certo poi se non trovi nulla ….hai solo guadagnato tempo e alla fine hai buttato via anche il Marchio !

    • Giorgio ma quali soldi? I soldi per chiamare Scanu per fare gli spot idioti li hanno trovati. Però non hanno soldi per una consulenza marketing decente e due grafici degni di tale nome? Essù.

      • E’ vero, ha ragione! molto spesso le aziende pongono come paletto il budget per azioni che hanno una creatività studiata , ma poi non ci pensano due volte a utilizzare un budget anche superiore per sciocchezze che sanno di provincialismo o passaggi televisivi che se riesci a vederli dall’inizio alla fine ti chiedi: ma che vogliono dire?

  30. Complimenti per questi articoli, da quando ho scoperto questo sito ier grazie a FB li sto divorando.
    sono solo perplesso dala proposta del Paluani nutrient per il tuo bambino. Non è un po’ troppo di nicchia? non lo posiziona troppo vicino alle merendine per I bambini? intend, il pandoro a colazione per il bambino è una conseguenza, nel senso che spesso a colazione si mangiano gli avanzi dei pandori aperti la sera, o quelli che compri scontati dopo le feste,… quindi usarlo come claim non lo porta un pelo fuori target rispetto al posizionamento di dolce da ricorrenza? una cosa nutrient per mia figlia mi risulta interessante se parliamo di qualcosa che fa parte della sua dieta lungo tutto l’anno, non mi cambia invece di una virgola nella scelta di un dolce da ricorrenza. Sempre partendo dal latte fresco non avrebbe forse piu’ appeal e spettro piu’ esteso parlare di “Pandoro Paluani, il piu’ genuine con oltre un terzo di latte fresco italiano”? la genuinità parla ad una audience piu’ estesa e suona meglio del nutrient (nella testa di molti nutrient=fa ingrassare). e se sto dicendo cazzate perdonami… 🙂

    • Maurizio stai dicendo cazzate ma ti perdono assolutamente perché il branding è una scienza parecchio complessa e contro-intuitiva quindi “perdersi” è un attimo. 😉 Nutriente non è affatto “di nicchia”, anzi fa proprio il suo dovere perché fa passare CON FORZA nella mente il panettone e Paluani in generale da “dolce della sera di Natale” a “dolce di tutti i giorni del periodo invernale/natalizio”. Paluani deve combattere con Motta e gli altri per la supremazia. Ma “notte di Natale” è Motta nella testa delle persone. Paluani può allora cominciare ad attaccarlo “da lontano” quando le mamme cominciano a comprare i primi panettoni per farli mangiare ai bambini. Ci sono ottime possibilità che piacendo ai bambini rimanga il dolce ufficiale anche la vigilia di Natale per tutti. Anche se non dovesse farlo, avrebbe comunque la possibilità di essere il panettone che si compra tutto prima e tutto dopo Natale lasciando magari a Motta o al panettone artigianale comprato per l’occasione solo la sera della vigilia. E’ tanta roba 😉

  31. A questo punto sono curioso di vedere i dati di vendita di Melegatti
    Posso accedere alle banche dati della GDO, se volete dopo natale vi do i numeri!

  32. Sempre chiarissimo ed illuminante. E’ un piacere leggerla, ripassare concetti che rischiano di essere dimenticati, nell’urgenza di “fare fatturato domani mattina”, chiarirsi le idee.

    Grazie per avermi ricordato perché da studente il marketing mi affascinava così tanto, mentre in azienda si viene costretti a fare cose che dentro di te sai che sono sbagliate, ma tocca farle lo stesso per obbedire al management.

    Un povero “ragioniere” (grazie anche per le risate… educare divertendo, lo sapevano già i latini)

  33. Bellissimo articolo, vorrei sottolineare che la strategia di mktg di quasi tutte le aziende in Italia è “copiamo la concorrenza” (meglio sbagliare in molti che aver ragione da soli)

    Mi piacerebbe che una volta Frank affrontasse un caso negativo, in cui la giusta focalizzazione è stata un fallimento.
    Il testo Focus c’è in e-book?
    Grazie e complimenti

    • Non esiste un caso del genere. E’ come dire “vorrei che Frank affrontasse un caso nel quale una pallina lasciata cadere è volata in cielo invece che finire verso il suolo”. No, non c’è in ebook Focus, solo cartaceo.

  34. Guarda Frank, sono d’accordo quasi su tutto: soprattutto concordo sull’ironia che fai a proposito dell’uso assolutamente improprio delle ricerche. Ahimè non concordo affatto sulla tesi principale dell’articolo. Sei partito citando la Procter, e va bene, ma non hai citato per esempio il principale competitor di Melegatti, che oggi fa allegramente merendine, cornetti, cioccolatini e dir si voglia con il brand Bauli. Se avessero ascoltato un consulente che diceva le cose che dici tu e avessero creato un brand ad hoc per le merendine allo scopo di difendere il loro posizionamento sul Natale avrebbero fatto un bagno di sangue. Invece un brand sano si può estendere eccome. Ma solo se sai come fare.

  35. Buongiorno, per prima cosa dei doverosi complimenti all’autore, che mi ha aperto un mondo. Oltre ai contenuti, ho apprezzato la dialettica.
    Personalmente mi diletto in pubblicità da autodidatta e ho scoperto di applicare questa metodologia in maniera inconsapevole in tanti mie lavori. Mi sentivo pazzo a criticare questo o quello spot, pensando sempre “ma cosa vuoi che ne sappia io che non ho studiato marketing! Sicuramente se lo passano, vuol dire che sanno che è buono!”. E invece mi sa che avevo ragione io!

    Perdonami se mi diverto ad aggiungere un tassello a questo post e soprattutto se mi permetto di intervenire su un passaggio.
    In tutto questo lunghissimo scritto, a me balza all’occhio un neo evidentissimo, ovvero l’uso della parola “nutriente” nella proposta di Battlecry Paluani.

    Ora, i dolci natalizi sono per antonomasia calorici e pesanti, vengono presi nell’accezione comune come il riferimento degli alimenti ingrassanti e di certo nessuno si pone il dubbio se un panettone sia o meno “nutriente”, perchè sono certi che lo sia fin troppo!
    Inoltre, una mamma che cerca qualcosa di nutriente per il proprio bambino, la cerca nei prodotti dell’alimentazione quotidiana, quindi biscotti, merendine, sughi, le cioccolate Kinder. Un panettone è un dolce stagionale che rappresenta una eccezione nella dieta, per la quale si può fare uno strappo alla regola.
    Volendo, anche il riferimento al bambino può essere limitante, in quanto questo pandoro dovrebbe essere mangiato volentieri anche dagli adulti, che di certo, quel giorno che se lo concedono, non vogliono un prodotto “per bambini”, ma un Panettone “vero”. A maggior ragione se parliamo di Panettone anzichè Pandoro, in quanto il cliente potrebbe essere portato a pensare che si tratti di un panettone “monco”, ad esempio senza canditi, che (chissà perché poi) spesso non piacciono ai bambini. E invece qui si parla di panettone tradizionale.

    Il riferimento al latte Italiano è ottimo e può essere la marcia in più di questo prodotto, ma io la assocerei ad un termine che richiami più la genuinità, il gusto delle cose fatte in casa, in modo che l’associazione delle mamme ad un messaggio nutrizionistico a pro dei bambini avvenga in modo indiretto.
    Io farei semplicemente:

    Panettone Paluani,
    Più Sano,
    con il 100% di latte fresco Italiano.

    “Sano” richiama molti pregi, in primis una presa di distanza dal fatto che si tratta di un prodotto industriale, e può essere associato al fatto che i “prodotti di una volta” sono più sani perchè fatti con ingredienti genuini. Quindi tradizione, bontà, ecc.
    La parola corta nel rigo, con sotto una frase più lunga, da inoltre molta potenza al termine “sano”, messo li isolato. E fa pure rima.
    Rispetto alle marche concorrenti, il cliente potrebbe essere portato a pensare “cavolo, il Bauli è ottimo, ma chissà che additivi ci mettono!”
    Altro punto, senza scomodare parolacce quali “dietetico”, il cliente attento alle calorie può essere portato a pensare che un panettone più “Sano” sia meno ingrassante e quindi per assecondare i propri sensi di colpa, che spesso arrivano quando si sta per mettere nel carrello un dolce ingrassante, si sceglie per quello che sembra avere “mezza caloria” in meno.

    Ho scritto questo per divertimento, ti sarò infinitamente grato se mi darai un feedback… sono pronto ad offese e censure!!

    • No. Ho già risposto a questo punto in un commento sopra. “Genuino” non è un attributo che funziona. Così come “sano”. Sono parole prive di significato nella testa delle persone. Ragioni da creativo e non hai basi di branding per comprendere il meccanismo che porta alla creazione di una categoria nella mente delle persone. Potresti andare sicuramente con qualche brand in direzione del concetto di “dietetico” o “light” ma appunto ti sei accorto da solo che è un’assurdità data la natura limitata nel tempo del consumo di quel prodotto. “Nutriente” esprime il concetto che “anche se deve mangiare questa cosa almeno è fatta con ingredienti sani”. Genuino, il concetto che vuoi esprimere tu, si esprime attraverso una connessione mentale più forte che è quella che ho fatto io. Se è più nutriente, cioè è fatto con latte 100% italiano e fresco ALLORA è anche più genuino. Anche il cioccolato Kinder nutrizionalmente è VELENO, ma le mamme lo comprano perché pensano sia più nutriente, perché ha più latte e meno cacao. Tutto qui 😉 Ma apprezzo comunque lo sforzo che hai fatto. Provare a ragionare non è mai sbagliato. Se continui a studiare il branding e le categorie nella mente pian piano le cose ti saranno chiare. Anche il fatto che il marketing vero è una scienza piuttosto precisa e ha a che fare con la psicologia e non con la creatività.

      • Grazie, ho letto anche il commento che mi hai suggerito, è tutto chiaro, come ti dicevo mi divertito a ragionare, ma mi rendo conto che alla base ci devono essere dei punti fermi. Mai avrei detto che “nutriente” funziona e “sano” o “genuino” no!

        Cosa mi dici della mia considerazione sull’opportunità di coinvolgere i bambini? Non è limitante? Dico questo perchè il Panettone solitamente è preferito dagli adulti, i bambini preferiscono il pandoro e si rischia di infilare questo prodotto ingiustamente nella nicchia dei “Panettoni da bambini”, che non so neanche se esista, ma che immagino potrebbero essere diversi da quelli tradizionali: senza canditi, dal gusto meno deciso, ecc.
        In altre parole: se scrivo solo “nutriente” già strizzo l’occhio alle mamme e non mi precludo gli altri. Se scrivo “nutriente per il tuo bambino”, mi rivolgo SOLO alle mamme. Io che non ho figli, lo eviterei, ne vorrei uno più “da uomini veri”.

        • Marco il branding è esattamente questo, non so in che altra lingua spiegarlo: rinunciare a una fetta di pubblico per colpirne con più precisione un’altra. NON PUOI prendere tutti. “Tutti” è il target del leader di categoria. Chi arriva dopo deve focalizzarsi. Prendi Pepsi: “Tu non vuoi bere la Cola dei tuoi genitori. Tu sei la Pepsi Generation”. Si rivolge ai giovani ma anche a tutti gli adulti che vogliono sentirsi giovani. E in ogni caso il fatto che TU non lo compreresti è un ottimo segnale perché non sei in target. Io voglio venderlo alle mamme. Che guarda caso sono quelle che comprano il panettone. 🙂

          • Ok, il concetto è chiarissimo e tu spieghi più che bene.
            Bisogna entrare nell’ottica, calcola che io (e penso molti altri qui), leggono questi concetti per la prima volta in questi giorni!
            Mi riprometto di studiare!

        • “Nutriente” funzionava ai tempi delle nostre nonne.. “mangia che devi crescere” il mercato alimentare è cambiato un po’ da allora… e si stanno affermando due filoni contrapposti quello salutista e quello edonista ma qualcuno non se n’è accorto.

      • Ciao Frank,
        “Genuino, il concetto che vuoi esprimere tu, si esprime attraverso una connessione mentale più forte che è quella che ho fatto io [Nutriente]”.
        Domanda: Come si fa a capire se un oggettivo ha una connessione mentale più forte rispetto a un altro? In questo caso come hai fatto a capire che “Nutriente” ha una connessione mentale più forte di “Genuino”?

  36. Faccio un pò l’avvocato del diavolo.
    Brand come LG o Samsung, che producono di tutto e di più sotto il loro brand (non ne hanno uno per ogni settore di mercato), sembrerebbero contraddire la teoria del focus.

    P.S. Ad onor del vero, da quando Samsung ha cominciato a produrre decine di tipologie di smarthphone (spesso molto simili), le vendite son calate.

    • Non fai l’avvocato del diavolo bob. Semplicemente non conosci i fatti. Le aziende come LG o Samsung non fanno profitti e girano su margini ridicoli rispetto a tutte le aziende focalizzate. Fai lo sforzo di informarti leggendo almeno Focus di Al Ries che é in italiano.

      • Lg e Samsung penso siano l’esempio di come NON si dovrebbe fare Marketing. Aziende a mio avviso ridicole (Samsung in particolare) che coprono mille segmenti con mille prodotti per segmento. Ad esempio i cellulari samsung, ci sono i galaxy da 200 euro e i galaxy da 700 euro, ma se chiedi al 99% delle persone non li sanno distinguere…poi si domandano come mai Apple sia l’azienda con i maggiori utili al mondo! 😀

        • Ma è quello che ho detto io. Da quando fanno x elevato alla n di modelli, samsung ha calato mostruosamente le vendite.

  37. Ve lo faccio a prova di idiota:

    “Genuino” non è un attributo. Così come non lo è “sano”. Perché sono parole “sottrattive”. Stanno quindi a indicare se le traduci che “Non c’è merda dentro”.

    “Nutriente” è un attributo perché è additivo. Non indica che “manca qualcosa” ma aggiunge proprietà.

    Se usi un attributo che aggiunge proprietà, per l’effetto alone avrai anche quelle correlate e sottrattive.

    Se un prodotto è più nutriente immediatamente nella mente diviene con meno schifezze e quindi anche più genuino. Ma è nutriente che fa “click”.

    Il Kinder Cioccolato è povero nutrizionalmente parlando. Il cioccolato puro o fondente 70/80% è nutrizionalmente mille volte superiore.

    Ma le mamme lo comprano perché “E’ più nutriente grazie a più latte e meno cacao”.

    E se è più nutriente è anche più genuino.

    Che poi privino i figli di un alimento ottimo come il cacao per dargli Kinder Cioccolato che è nutrizionalmente inferiore è un altro paio di maniche, ma il marketing funziona lavorando su ciò che la gente CREDE sia vero, non su ciò che è vero.

    • ciao giuro che non voglio entrare in polemica (anche perché mi pialleresti) pero’ l’associazione nutriente=genuino non mi convince e non parlo da uno che pensa di capirne di branding (non ne capisco un cazzo in effetti) ma da consumatore… se leggo nutriente io penso ricco di zuccheri e di grassi, perché una marea di prodotti ricchi di zuccheri e grassi sono da anni pubblicizzati come “nutrienti”. Oggi la nutella è definite nutriente e se me lo chiedi io non penso nemmeno un attimmo sia sana o genuine (anche se ne mangio in abbondanza). Se uno cerca qualcosa che non abbia olio di palma (ad esempio) o conservanti, non fa l’associazione mentale che se il prodotto è nutriente non abbia questi addittivi. Ripeto, tu sei un mago del branding, io no, ma io sono un acquirente di pandoro e non ho una marca preferita… quindi in teoria sono un ottimo “indeciso” che con un buon claim puoi traghettare su un brand o su un altro… se Melegatti lo chiami “Melegatti, IL Pandoro” te lo compro subito, se il Paluani me lo chiami “quello nutriente per il tuo bambino”, non lo considero nemmeno se rimane l’ultimo sullo scaffale, saro’ un cretino che non capisce di branding, ma se il paluani lo vendi solo a chi capisce di branding lo mangiate in tre… (sono ironico non ti incazzare) . Molto piu’ interessante invece “Pandoro Paluani con 100% latte italiano” a quell punto le associazioni a nutriente o genuino o sano o quello che vuoi vengono automatiche e anzi lasci la porta aperta perché I client completino l’associazione assumendo quello che questo implicit quello che cercano.

        • beh, no, non è la risposta a tutto il resto, e proprio perché io non discutevo da esperto di branding ma come potenziale cliente.. che davanti ad un claim ha una reazione e quella che ho avuto io di fronte al tuo claim sulla paluani e’ stata pessima (da consumatore che non ne capirà un cazzo di branding… ma è a me che dovresti vendere… non solo ad Al Ries e ai tuoi due colleghi) il claim per la paluani sembra fatto da uno che vuol far vincere (e facile) la Melegatti. e il fatto che un altro abbia detto ESATTAMENTE le mie cose forse un dubbio te lo dovrebbe far sorgere, e cioè che forse nel tuo vissuto il termine nutriente non corrisponde al vissuto e alla percezione di tutti gli altri.

          • Ma sto vizio di “Non capisco niente dell’argomento ma voglio dire la mia opinione basata sul nulla” non vi passerà mai vero a voi italiani? Hai già dato la formazione al nuovo allenatore della nazionale per la prossima partita?

  38. Due commenti (scusa la lunghezza):

    1. Grazie. Io di mestiere faccio la ricercatrice, in linguistica poi, niente Business Administration, ma leggere l’articolo sulla Melegatti mi ha aiutato molto a scrivere un progetto di ricerca che sto presentando. La mia idea è bella e originale, i metodi sono innonativi ed è multidisciplinare…ma io stavo annacquando l’idea principale in mille rivoli e rivoletti di direzioni di ricerca senza identità. Poi ho pensato “come “venderei” la mia idea se fossi la Melegatti?” – ho cercato il punto focale (focus), ho coniato un “battlecry” e ho posto le altre idee di ricerca in posizione minore e comunque centrata sul mio “brand” (cioè l’idea principale). Lo so che io che insegno all’Università dovrei sapere da sola come farlo, ma…mi ero impantanta, e mi hai davvero illuminato (e rallegrato la pausa pranzo).

    2. Non ne so nulla di marketing, ma mi pare che le tue argomentazioni siano davvero corrette. Una piccola domanda: io compro sempre la Cola Zero (mi piace di più), e a casa mia spesso compriamo il pandoro (anzi, quel dolce di forma e nome indefnito che fanno a Natale, non so neanche come lo chiamino) farcito alla crema al limone (perché ci piace un sacco). Potremmo fare la crema al limone da soli, ma è più complicato. E mi pare che molti lo comprino. Vero anche che compriamo sempre anche il pandoro semplice e ce lo farciamo da soli con la Nutella.
    Ora, come si fa a dire che la Cola Zero e il pandoro al limone sono un fallimento, se tanta gente (mi pare, vedo Cole Zero e pandori al limone spessisimo, questi almeno a Natale) li compra lo stesso, e da vari anni?

    non so se ce la farai a rispondere, però grazie comunque e buona giornata!

  39. PS: non voglio rovinare ancora di più la categoria degli accademici dei quali non hai una buona opinione e cerco di rispondermi da sola, ragionando un attimo nella pausa caffè. Sperando di non far danni.
    Il pandoro al limone è una CATEGORIA diversa = BRAND diverso. Stessa azienda, ma nuovo brand? Tipo “Pandoro al limone per un Natale originale” ma non brand Melegatti ma Zuzzurellone, anche se proprietà Melegatti (tanto la gente non lo sa)?
    Però io compro la Cola Zero proprio PERCHé è Coca Cola, la Pepsi Zero o la NomeACaso Zero non la comprerei mai. Quindi un nuovo brand magari non aiuterebbe in questo caso. Dunque come considerare la Cola Zero?
    Grazie ancora, anche se non potrai rispondere, perché è un piacere leggere i vostri articoli.

    • Lidia non è così. Il problema è che tu non conosci la storia. Ti invito a leggere il libro Focus di Al Ries così ti risolvi un sacco di dubbu. Nel caso specifico la Coca Cola aveva il brand Tab che era leader di mercato con il 47% di share di mercato.

      Poi hanno deciso di sopprimerla stupidamente creando le estensioni di linea Light, poi zero ecc…che non hanno mai più ottenuto quei volumi e percentuali di vendita.

      Ovviamente hanno perso fatturato. La zero cannibalizza la light che a sua volta cannibalizza la normale.

      La Tab invece avrebbe creato un asset incredibile per la Coca Cola preservando entrambi i brand.

      Ma qualche Laureato in Business Administration tipo Sculley ( o forse proprio lui visto che veniva da lì?) ha ben pensato di fare quella puttanata.

      L’ho spiegato in mille salse e in 124 lingue. Se le ricerche di mercato ti spingono in una direzione, lo fai con un brand apposito. MAI estendendo la linea.

      • Vero Frank,
        tutto vero. Ma come tu sai molto bene, è facile parlare di positioning fuori dall’azienda. Proprio da consulente intendo. Una volta che ci sei dentro devi allineare processi, valori e soprattutto persone in una direzione consistente. Non essere così perentorio con Melegatti per provare certe competenze. È vero, Frank, hanno sbagliato. Ma il territorio si misura con la capacità di arginare ostacoli, sfruttare i punti di forza, comprendere l’intimità di un’azienda e mantenerla. È facile da fuori il recinto indicare l’uscita e la strada giusta, un po’ meno seguirla per una vita. Ci sono casi diversi di estensione: Amazon con EC2 e Porsche con Cayenne sul quale le tue argomentazioni scricchiolano un po’ di più. Non sbagliate, solo un po’ più fragili. 😉

        • Matteo, il fatto che tu non comprenda il branding e il focus non significa che le mie argomentazioni scricchiolino. Significa solo che tu non comprenda bene il branding. E io ho altro da fare nella vita che passare il tempo a istruirvi da zero. Ci sono tutti i testi di Al Ries. Saresti potuto venire ad ascoltarlo dal vivo quando è venuto in Italia e fare a lui direttamente le tue domande. Altra cosa: io non faccio il consulente. Sono un imprenditore seriale e TUTTE le mie aziende si basano sulla focalizzazione. Fatti un favore, c’è il libro Focus in Italiano. Parti da lì a studiare e inizia il tuo percorso di approfondimento. Ed evita di cercare “eccezioni” a qualcosa che non comprendi pienamente prima di averla studiata a sufficienza. Ciao.

          • Frank, perdonami, ma da cosa hai dedotto che io non abbia già letto Positioning?
            Tu, che invece, non hai colto un esempio di Brand Gap di Marty Neumeier? 🙂

            Frettoloso Frank..

          • Se lo hai letto è una buona cosa ma evidentemente non hai chiaro l’intero processo. In generale “positioning” è il testo che tratta del solo verbal nail. Per compredere l’intero processo di branding che si compone di 5 punti non basta affatto positioning. Ti invito nuovamente se sei un sincero appassionato di marketing a leggere almeno Focus (anche in inglese così non ci guadagno manco l’euro che guadagnerei se tu lo prendessi in italiano). E soprattutto a non impermalirti nè possibilmente a fare polemica. Grazie.

          • Tranquillo Frank, niente polemica, ma sicuro nemmeno permalosità anzi, dove la leggi? 🙂

            La mia tesi era semplice: alcune persone sono frettolose nei giudizi, sebbene utilizzino tante parole per farlo. Tesi comprovata, no?

            p.s. “Positioning? Ottimo che, nel bene o nel male, qualcuno ne parli.” 😛

        • Sai che non sono cosi sicuro che il Cayenne sia stata un’estensione di linea che si discostava dal focus principale dell’azienda?

          L’immagine di Porsche è di una macchina ad alte prestazioni, ipercostosa e con una livrea storica che non è cambiata negli anni (un po come la bottiglia della Coca Cola)

          E’ vero che hanno creato un suv, ma un Suv da 400 e passa cavalli, ipercostoso e con una linea che ricorda quella storica Porsche…quindi in un certo senso coerente con la filosofia aziendale ed oltretutto assolutamente unico nel mercato di allora come caratteristiche

          non hanno fatto un’utilitaria o un 4×4 da battaglia

          poi magari sbaglio io, ma il Cayenne mi sembra tutt’altro che un modello completamente fuori Focus

          • Il concetto di branding è complesso e affrettarsi in giudizi non è mai una buona cosa.

            Nello specifico, Cayenne è un brand Porsche esattamente come la 911 (che sono anche i due modelli più venduti).

            E’ molto vicino al concetto “prodotti della stessa famiglia” e non estensioni di linea, esattamente come lo sono iPod, iPhone e iPad ad esempio.

            Sono tutti prodotti Apple ma allo stesso tempo sono brand a sè, legati da qualcosa che li unisce ma anche ovviamente con funzioni completamente differenti. Quando uno dice “ho la Porsche” intende la 911.

            Per assurdo il Boxster o la Cayman sono modelli stupidi ed estensioni di linea, e infatti non solo vendono poco ma cannibalizzano anche la 911.

            Ma quando uno compra il Cayenne dice “Ho comprato IL Cayenne”, non “Ho comprato LA Porsche SUV” e nemmeno “Ho comprato LA Porsche Cayenne” come nessuno dice “Ho comprato l’Apple iPad”.

            Cayenne ha creato una categoria a sè, pur facendo parte della famiglia Porsche, che è quella del “SUV supersportivo.”

            E’ legato alla famiglia Porsche dagli stilemi di linea, motorizzazione sportiva ecc… e contemporaneamente è un brand a sè.

            Ripeto, conoscere il branding è una scienza complessa. State buoni e studiate prima di lanciarvi in considerazioni erronee.

            Non è spocchia, è un sincero invito all’approfondimento e alla comprensione di concetti che sono complessi e lunghi da assimilare pur nella loro intima semplicità.

          • “Non è spocchia” suona come “non sono razzista ma..” 🙂
            Si parlava del brand Porsche, no? non del brand di prodotto. Cosa significa ora: un marchio supersportivo o lusso?

            Sappiamo bene la differenza tra estensione e un brand a parte. Ma visto che hai citato più volte esempi con cocacola zero (estensione) non puoi negare il suo brand (percezione del consumatore su “Zero”). Quindi non stiamo parlando di questa differenza. Ripeto, non trattarci come se solo tu custodisca il segreto per “la battaglia della tua mente”. Perché questo non giova al tuo brand.. 🙂

            Consigli sempre le stesse letture, Frank. Non ti sarai mica arenato su un solo libro? Ne esistono tantissimi! http://www.slideshare.net/coolstuff/the-brand-gap

          • Matteo scusa, errore mio. Mi sono violentato per parlarti come se fossi una persona normale ma evidentemente non capisci un cazzo. Scusa, errore mio.

          • Ah.. che conclusione quantomeno… elegante 🙂
            Ora hai capito perché non hai mai lavorato per nessuno di questi grandi marchi? 😉

          • Sì, perchè sono un imprenditore, non lavoro per nessuno e più specificamente non sono un dipendente che ciuccia il cazzo al capo e ingoia per fare carriera. Ciao.

          • Proprio così. E tu pensa che ti parlo dall’esperienza di consulente: devo raddrizzare il pensiero dai volgari sales che si mascherano da imprenditori, devo far remare il dipendente che, come hai onorevolmente definito tu, ” ciuccia il cazzo al capo e ingoia per fare carriera” ma soprattutto, più di ogni altra cosa, devo differenziarmi e combattere i ciarlatani che hanno reso questa materia poco seria e che a suon di nozioni, affossano le organizzazioni. Insomma, tanta fatica per un lavoro onesto. 😉

          • Buona fortuna. PS: Non ti ho “definito” così. Non so chi sei e cosa fai, magari sei il titolare di un’agenzia tua. Ti ho solo dovuto rispondere e per farlo ti ho dovuto chiarire che non lavoro per altri e non sono un dipendente.

      • Grazie mille. Ho capito.
        E anche se non sono un imprenditrice comprerò il libro perché raramente vedo spiegazioni così chiare e ben argomentate, è un piacere leggervi.
        Auguri per il futuro.

  40. Comunque complimenti Frank! Forse serviva uno con le tue capacità comunicative per far passare certi concetti fondamentali che evidentemente non è così facile trasmettere!

    Il posizionamento fù uno dei concetti che mi rimase più impresso nei miei studi perchè (insieme alla teoria dei giochi) mi sembrava uno di quei concetti “forti” in grado di fare la differenza se utilizzati a dovere. Sono rimasto incredulo quando, finita l’università ed entrato in una “grande” azienda, ho scoperto che non avevano nemmeno una mission e una usp, ma solo un’accozzaglia di concetti generici che non significavano nulla! (ti parlo di un’azienda da 2 miliardi di fatturato)

    Ho chiesto spiegazioni a riguardo ed è meglio che non ti dica la risposta…imbarazzante

  41. Panettone Paluani:
    Più nutriente per il tuo bambino
    con il 100% di latte fresco italiano.
    Ho come l’impressione che sia una grande cagata. Vuole sapere perchè:

    Non è una merenda da consumarsi nelle ore pomeridiane, ma bensi un dolce natalizio e si consuma nella festivita’.

    Lei non ha assolutamente la bacchetta magica per risolvere i problemi delle aziende.

    Come Lei leggo i libri di Al Rias, e noto molto spesso che fa un copia e incolla, mettendoci suoi linguaggi da VENDITORE che vede i suoi prodotti/servizi.

    P.s. : ho avuto la fortuna di comprare il suo libro quando usci’, lo stesso mi ha generato parecchia curiosita’. Ma ahime’ la realta’ è ben diversa……….

    Cordialita’

    Lei a mi

    • Ninni mi verrebbe voglia di mandarti affanculo perché sei l’ennesimo testa di cazzo anonimo e ignorante che capita qua sopra a dir merdate senza rispetto e senza voglia di capire. Però ho risposto alla tua obbiezione in questo articolo che ti invito a leggere:http://brandpositioningitalia.com/chi-altri-vuole-distruggere-il-suo-brand-con-le-estensioni-di-linea/ Poi se non lo capisci (come temo) io non posso farci nulla. Cordialità assoreta.

      • Egregio, scrivo qui non avendo una sua mail diretta.
        Ma un commento sulla comunicazione da parte della dirigenza di Italo per gli sconti al family day?
        A mio avviso, più che problemi di opportunità o di politica, vedo una scarsa preparazione da parte della Comunicazione e marketing di Italo. No?

  42. ..un gingle che mi piace è quello che fà la Bauli, “a Natale puoi fare quello che non puoi fare mai”, perchè il panettone e il pandoro o qualsiasi altro dolce Natalizio non è per niente sano, è processato industrialmente e quindi pieno di roba chimica ed è pieno dei peggiori antinutrienti, e chiunque abbia un briciolo di cervello lo sà. E sà anche che se lo dò al bambino che già è sulla strada dell’obesità mi diventa un tonno con i bracci… (non sano e anche troppo nutriente)
    Almeno la Bauli cerca di attenuarti il senso di colpa anche se dovessi essere in Paleo…

  43. Ciao Frank, complimenti, il bello di questa lettura è stato che alla fine, senti davvero di aver imparato qualcosa. Non la solita fuffa ma concetti chiari e precisi.
    In troppe situazioni si pensa che per crescere bisogna avere di più ma come dici tu la focalizzazione vince!

  44. Articolo interessante! Come tutti gli altri del resto. A proposito di slogan, mi piacerebbe sapere -anche se sto andando fuori tema- come viene giudicato lo slogan “Averne di Averna!” che sta facendo scompisciare me e i miei amici da quando l’abbiamo udito 🙂

    • Mi sembra una scemenza. Suona perché è assonante ma non ha senso. Una scemenzuola da classica agenzia di pubblicitari creativi italiani che sbarcano il lunario con cazzatelle creative. Devono mangiare pure loro.

  45. OTTIMO OTTIMO OTTIMO…. con questo articolo hai convinto anche (quasi) tutti i Cuggini d’italia…

  46. Frank, i miei complimenti, articolo scritto egregiamente, contenuti molto dettagliati ed interessanti. Vorrei solo sottolineare che, dal momento che hai citato la Barilla, Morici è un pilastro fondamentale per la Barilla. La sua carriera comincia proprio in P&G, insomma, magari tutte le aziende avessero persone come lui ad occuparsi del Marketing. Comunque, la tua linea di pensiero, rispetto al marketing, è molto simile (se non addirittura identica) alla mia.

    • Gianni infatti Barilla è uno dei pochi brand che invece che farsi i pompini per strappare fettine di mercato ai competitor in Italia è diventato un marchio globale. Vuol dire che son bravi per forza.

  47. Chapeau!!!
    Ho letto i tuoi articoli e ho potuto constatare con mano che quello che dici corrisponde a realtà.
    Lavoro per l’azienda con cui collabora Maurizio Rossi e proponevo tutti i prodotti, senza grossi risultati. Allora ho deciso di focalizzarmi sul prodotto di punta (e soprattutto “originale” nel suo genere) e come d’incanto si è verificato un effetto alone pazzesco anche sugli altri prodotti ma col bello di aver impiegato uno sforzo decisamente minore rispetto a prima.
    Grande Frank e ci vedremo sicuramente a VV 2016!

  48. “Il tuo progetto di vendere panettoncini tutto l’anno naufraga come il Titanic contro l’iceberg e le tue scorte le puoi usare come supposte per te e il tuo direttore marketing che ha commissionato i sondaggi. Tanto sono morbidi.”

    No vabbè ho le lacrime, seriamente.

    Grazie.
    Ti leggo con enorme piacere e interesse.

  49. Mitico Maestro!

    Letto all’incirca in un ora, sopratutto per sviscerare frasi tipo questa:

    “Il problema é che un brand maturo, non un’azienda ma un brand, raggiunge un punto ottimale di crescita oltre il quale una crescita ulteriore può essere causata solo dalla crescita demografica o dei prezzi. Riconoscere questo semplice fatto che nelle accademie di tutto il mondo pare ignorato, risolverebbe praticamente tutti i problemi di marketing e di management.”

    Solo una domanda, assieme al Food ed alla Moda non hai citato il Turismo. C’è un motivo particolare?

    • Perchè non siamo affatto famosi per il turismo. Siamo famosi per i monumenti al massimo, spesso in stato di abbandono, chiusi, difficilmente accessibili ecc…

      Turismo significa essere attrezzati per ricevere i turisti, e l’italia non lo è. I camerieri parlano solo il dialetto del loro paese in Italia e le strutture sono irricevibili.

      Italia nel mondo è Food e Fashion. Fine.

  50. Avevo letto con condivisione e stima l’articolo su Melegatti. Qui secondo me hai peccato della stessa sindrome da “brand stretching” che vai criticando… L’articolo sul pandoro ha funzionato, allora facciamone uno sul panettone. Che poi solo sul panettone non è… In sintesi hai scritto un lunghissimo (troppo) trattato contro i laureati, le ricerche di mercato e Kotler. Onestamente in 25 anni di marketing (anche in aziende da te citate come virtuose) ho visto che neanche le tue verità sono così assolute come credi. Ho visto bocconiani molto bravi e imprenditori “geniali” scottati dalla realtà, ho visto che le ricerche di mercato (se impostate bene e non come stupide domande retoriche quali le fai apparire) possono essere preziose anche nel capire che una certa idea non ha futuro. Ma soprattutto ho visto che le banali e ormai superate teorie di Kotler per chi le ha metabolizzate nel modo giusto risultano quasi sempre vere e vincenti, e contengono in nuce esattamente i concetti che i tuoi amici Reis hanno simpaticamente sintetizzato in modo egregio.
    E alla domanda “ma questa che cazzo vuole?” che ora ti sorge spontanea rispondo: “solo dirti che sei troppo in gamba per perderti nell’esasperazione e nello stretching dei tuoi stessi concetti”. 😉

  51. I commenti sono così interessanti che quasi oscurano l’articolo. Che in realtà (questo come il suo precedente) mi hanno illuminato dopo qualche anno in multinazionale con responsabili marketing improvvisati. Io non ho alcuna competenza ma il sospetto di avere a che fare con veri sprovveduti era fondato. Lo vedo chiaro oggi. Grazie davvero

  52. Posso aggiungere una nota di colore che adesso ho contestualizzato grazie a Frank?

    Da pivello ho partecipato ad alcune indagini di mercato. Le fantomatiche survey sono spesso commissionate ad agenzie esterne che vengono indottrinate dal direttore marketing sul risultato desiderato.

    Risultato finale, un manipolo di scappati di casa viene chiuso in una stanza e interrogato. Il delegato dell’agenzia in questione dice a denti stretti senza farsi notare quale siano le risposte migliori da dare ricordando che a fine sessione si riceverà un piccolo rimborso spese.

    Ho avuto compagni di università che ci si pagavano la bevuta del venerdì sera facendo questo.

    Io sono andato una volta e mi hanno pagato in buoni benzina. Dopodiché ho lasciato perdere… non avevo manco il motorino 😛

  53. Nutriente non va bene. Chi pensa che un pandoro debba essere nutriente? Nutriente va bene per una merendina o per qualcosa che si mangia tutti i giorni e che ci si aspetta che dia tutte le sostanze di cui abbiamo bisogno. Il pandoro o panettone ci si aspetta che sia buono, dolce, gustoso. Non e facile trovare le giuste parole. personalmente sarei più attratto da un prodotto che puntasse sugli ingredienti bio ma io non sono nessuno. Comunque bell’ articolo.

  54. Ciao Frank , ho letto e apprezzato moltissimo il tuo articolo , voglio farti una domanda , probabilmente stupida .

    Se io sono Coca Cola e vendo ovviamente quell’unico prodotto (perchè abbiamo capito che l’estensione Light e Zero sono delle stronzate apocalittiche); se il mio fatturato è in calo da mesi , come faccio ad aumentare le vendite avendo solo quel singolo prodotto, quali mosse eventuali di riposizionamento si dovrebbero fare?

    Grazie

  55. Lezione super, Frank!

    Se mi permetti una domanda, qual’è la differenza tra attributo della categoria e attributo che invece parla del brand?

    Grazie!

  56. Articolo interessante, esposizione dialettica ben studiata con scelte linguistiche sbandieratamente lontane dal linguaggio che si userebbe in un qualsiasi ambiente accademico. Anche questo contribuisce ad identificare un brand.

    Ma se comincio a sviscerare gli argomenti, ce n’è uno che a mio avviso zoppica un po’.

    Testuale: “se devi chiedere, non sai fare marketing”.

    Non sono d’accordo; “se non sai cosa chiedere, non sai fare marketing” mi suona molto meglio ed è molto più vicino alla mia esperienza. Non sono un fan delle survey e delle ricerche di mercato, ma negli esempi posti ad essere profondamente sbagliate sono le domande (e quindi le risposte…)

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