Quello che Donald Trump ci può insegnare sul marketing

NEW YORK, NY - NOVEMBER 19:  Business mogul/TV personality Donald Trump attends the 2012 Golden Goggle awards at the Marriott Marquis Times Square on November 19, 2012 in New York City.  (Photo by Stephen Lovekin/Getty Images)

Donald Trump ha iniziato la sua campagna per le prossime elezioni presidenziali americane attaccando gli immigrati messicani. Ed è scoppiato un putiferio.

La NBC lo ha licenziato.

Macy’s lo ha licenziato.

Serta lo ha licenziato.

Univision ha cancellato il suo concorso per Miss USA.

La Professional Golfers’ Association ha rinunciato al suo Trump National Golf Course e ha annunciato che sposterà l’edizione 2016 del Grand Slam of Golf in un’altra località.

La Federal Aviation Administration sta per cambiare nome a tre dei suoi punti di navigazione sopra il Palm Beach International Airport (DONLD, TRMMP e UFIRD).

Malgrado queste ed altre notizie, un recente sondaggio Reuters-Ipsos condotto tra elettori disposti a votare per il Partito Repubblicano ha rivelato che Jeb Bush e Donald Trump sono virtualmente alla pari (16,1% per Bush e 15,8% per Trump; nessun altro candidato ha un gradimento a due cifre).

Da zero al primo posto ex aequo. Come ha fatto Donald Trump a ottenere questo risultato? Focalizzandosi su un singolo argomento.

L’errore che commettono quasi tutti i politici

Come Donald Trump, la maggior parte dei politici ha un ego molto sviluppato. E quando hai un ego molto sviluppato, hai anche la tendenza a credere di sapere tutto.

Quando sai tutto, ti senti a tuo agio nel prendere posizione su qualsiasi argomento. E quando prendi posizione su qualsiasi argomento, finisci per dispiacere alla maggioranza degli elettori, che non saranno per nulla d’accordo con te su almeno uno di quegli argomenti.

Ancora peggio, non rappresenterai nulla nelle menti degli elettori. Cosa rappresenta Jeb Bush? Cosa rappresenta Chris Christie? Cosa rappresenta Rand Paul? Cosa rappresenta Scott Walker?

Vince chi rappresenta qualcosa. Cosa rappresentava Barack Obama nelle elezioni presidenziali del 2008? Il cambiamento.

«Un cambiamento credibile» è uno degli slogan politici più potenti mai creati.

Cosa rappresentava John McCain, l’avversario di Obama nelle elezioni presidenziali del 2008? Qualcuno riesce a ricordarne lo slogan? E aveva speso 358 milioni di dollari per la sua campagna elettorale.

Cosa rappresentava Mitt Romney, l’avversario di Obama nelle elezioni presidenziali del 2012? Qual era il suo slogan? Eppure aveva speso 433 milioni di dollari per la sua campagna.

È difficile ricordare i loro slogan perché nessuno dei due candidati ha avuto il coraggio di dedicare l’intera campagna elettorale a un unico argomento.

(«Il paese prima di tutto» era lo slogan di McCain. «Credere nell’America» era lo slogan di Romney.)

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I grandi marchi rappresentano molte cose

Beh, starete forse pensando, ma i grandi marchi di successo rappresentano un mucchio di cose diverse. Gli esperti di marketing in effetti raccomandano questo approccio.

Ha scritto David Aaker in Creare marchi forti: «La filosofia di base sostiene che un marchio è più di una singola affermazione. In effetti, dovrebbe avere tra le sei e le dodici dimensioni; queste non dovrebbero comprendere soltanto qualità, e dovrebbero essere disposte lungo una scala di priorità».

Questo funziona benissimo per marchi leader come Coca-Cola, Hertz, General Electric, Google e molti altri. I reparti marketing di queste aziende passano ore infinite a discutere minutamente quali dimensioni posseggono, quali dimensioni vorrebbero possedere e quali dimensioni non vorrebbero possedere.

I consumatori, tuttavia, non si concentrano sulle dimensioni di un marchio. Quello che davvero importa ai consumatori è di trovare il marchio migliore da acquistare in ciascuna categoria. E come ci riescono? Comprando i marchi più venduti. «Non sono forse i marchi migliori a vincere sul mercato?».

È per questo che la posizione migliore da possedere è quella di numero uno, e che la pubblicità migliore che si possa fare è una campagna che rafforzi costantemente la posizione di leader.

Se però non sei il leader, sviluppare una strategia che comprenda tra sei e dodici dimensioni diverse è la migliore garanzia per non diventarlo mai.

La BMW è diventata il leader nelle vetture di lusso sul mercato americano concentrandosi sulla «guida». E la BMW ha perduto la leadership quando è passata alla «gioia». Tutte le altre dimensioni non hanno importanza.

La flat tax

Il Donald Trump delle elezioni presidenziali del 1996 era Steve Forbes, che aveva concentrato la propria campagna sulla flat tax, l’imposta sul reddito ad aliquota unica.

Il suo maggiore rivale per la nomination del Partito Repubblicano era il senatore Bob Dole. I primi sondaggi davano Dole al 40% e Forbes al secondo posto con il 15%. Forbes vinse le primarie del Delaware e dell’Arizona, e la rivista Time gli dedicò la copertina. «A differenza di Dole, ha un messaggio unico e chiaro, Mr Flat Tax, dipinto sulla fronte», scriveva la rivista.

Bob Dole vinse la nomination, ma perse le elezioni contro Bill Clinton.

Dole non aveva nessuna chance, visto che stava correndo contro un marchio leader, Bill Clinton, Presidente degli Stati Uniti d’America. Quando sei il leader, puoi vincere anche senza un messaggio unico e chiaro, dato che hai una posizione unica e chiara: sei il leader.

Dole avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto Steve Forbes e quello che sta facendo Donald Trump. Concentrare l’intera campagna su un’unica questione.

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Il secondo tentativo di Forbes

Quattro anni dopo, Steve Forbes fece un secondo tentativo di ottenere la nomination repubblicana. Ma a quanto pare interpretò nel modo sbagliato i risultati del 1996. Ipotizzò che la sconfitta fosse stata causata dalla sua campagna monotematica.

Così nel 2000 ampliò il suo messaggio fino a includere quasi tutti i temi cari ai conservatori, compresa l’opposizione all’aborto e il sostegno alla preghiera nelle scuole pubbliche.

Invece della «Flat Tax», il nuovo slogan di Forbes era «Americani per la speranza, la crescita e l’opportunità».

Invece di ampliare il sostegno a Forbes, questa nuova campagna fece l’esatto opposto. Malgrado avesse speso di più per la seconda campagna che per la prima, Forbes non si avvicinò mai alla posizione che aveva raggiunto nel 1996.

Lo Steve Forbes delle elezioni presidenziali del 2012 è stato Herman Cain. Il suo Progetto 9-9-9 voleva rimpiazzare tutte le tasse attuali (compresi gli oneri sociali, l’imposta sui capital gains e l’imposta sugli immobili) con un’imposta sulle transazioni finanziarie del 9%, un’imposta sul reddito del 9% e un’imposta federale sul valore aggiunto del 9%.

Dopo la presentazione del suo Progetto 9-9-9, Herman Cain fece un balzo in avanti nei sondaggi.

Numero 1 in un sondaggio informale del Partito Repubblicano in Florida, con il 37% di 2657 elettori.

Numero 1 in un sondaggio informale della TeaCon Midwest, con uno straordinario 77%.

Numero 1 in un sondaggio informale della National Federation of Republican Women, con il 48%.

Numero 1 in un sondaggio di Fox News, con il 24%. Mitt Romney si classificò al secondo posto, con il 20%.

Ma tutto finì quando diverse donne lo accusarono di molestie sessuali. Cain e la moglie negarono le accuse, ma poi Cain, adducendo il peso che le accuse avevano avuto sulla sua famiglia, annullò la campagna.

Chi vincerà nel 2016?

Se la storia può servire da guida, Jeb Bush diventerà il candidato repubblicano alle presidenziali del 2016, e Hillary Clinton sarà il candidato democratico. Nessuno dei due prenderà una posizione decisa su una singola questione, perché entrambi godono già di una posizione forte. Sono leader.

Un altro sondaggio Reuters-Ipsos, limitato a Bush, Trump e Marco Rubio, mostra Jeb Bush al primo posto fra i Repubblicani, con il 42% delle preferenze. Fra i Democratici, Hillary Clinton è al primo posto con il 48%.

Perché emerga un rivale significativo nelle due gare, uno o più aspiranti presidenti dovranno fare ciò che ha fatto Donald Trump. Focalizzare l’intera campagna su una singola questione.

Ma, a parte Trump, non aspettatevi che qualcuno lo faccia. Non è quello che dice la saggezza tradizionale. E la saggezza tradizionale vince quasi sempre nella mente degli addetti al marketing.

Ma non nel mercato.

– Al Ries –

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6 pensieri su “Quello che Donald Trump ci può insegnare sul marketing

  1. Fantastico questo articolo.

    Una citazione di Laura Ries di qualche mese fa rende ancora più chiaro il concetto :

    “La chiave per vincere le elezioni è concentrarsi su un argomento circoscritto così da farne la propria battaglia ma, allo stesso tempo, abbastanza ampio da essere capace di attirare un grande numero di elettori”

  2. Più che chiara (ma non scontata) la focalizzazione, sottolineata in questo ed altri post.. Invece meno scontata la transizione da una posizione di nicchia ad una di leadership.. Tornando all’esempio politico ciò vuol dire che un leader è tale fino a che non stecchisce? E di conseguenza “il focalizzato” rimane tale fino a quel momento?

    • Ciao Dario, è così anche non in politica.

      Una volta raggiunta la leadership e la preminenza nella mente delle persone, è estremamente difficile se non impossibile perdere quel primato finchè non accade qualcosa di catastrofico.

      • Ciao, complimenti per l’articolo che, come sempre, fornisce grandi spunti di riflessione. Un dubbio. A parità di altre condizioni, focalizzare una campagna su un unico argomento, per quanto onnicomprensivo, non rischia di essere un limite a una vocazione maggioritaria? Porto l’esempio italiano di Salvini: ha focalizzato tutto su un argomento, il timore dell’immigrazione. E’ un argomento per una categoria di persone, immagino a bassa scolarizzazione, molto comprensivo (tocca i timori legati al lavoro, alla casa, alla sanità,alla sicurezza e più in genere al proprio posizionamento sulla scala sociale). Ora Salvini, dando per buoni i sondaggi, raccoglie il disprezzo dell’85 per cento degli italiani il che vuol dire che ha raggiunto il consenso del 15 per cento, record per la Lega. Ottimo risultato, che conferma sostanzialmnte quanto scritto nell’articolo. Ma basta per uno che vuole vincere le elezioni? Non si rischia di rinchiudersi in un recinto, per quanto piuttosto ampio, senza mai intercettare la maggioranza elettorale? In fondo per quanto brillanti, gli esempi americani che ha proposto hanno tutti perso. Grazie e un saluto.

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