Perché rinunciare al prezzo alto può distruggere le tue vendite

rolexEcco il titolo di un articolo apparso di recente sull’Atlanta Journal-Constitution: «I venditori al dettaglio vogliono introdurre negozi a basso costo».

Come racconta il giornale, la catena di abbigliamento The Gap si trova in cattive acque, e sta perciò per chiudere 175 negozi. A tenere ancora a galla la Gap Inc. (questo è il nome della società) è la catena a basso costo Old Navy.
Altre catene di vendite al dettaglio hanno notato il successo di Old Navy nella fascia bassa, e stanno usando una strategia analoga.

Macy’s sta sperimentando un concept a prezzi scontati che si chiama Macy’s Backstage.
Kohl’s sta sperimentando un concept analogo che si chiama Off Aisle by Kohl’s.
Whole Foods ha annunciato l’apertura di una catena a basso costo battezzata sulla falsariga del marchio della casa, 365 by Whole Foods Market.

Il prezzo conta molto per la maggioranza dei consumatori

Anche se i consumatori fanno spesso di tutto per risparmiare, a volte si comportano nel modo opposto. Nessuno fa la spesa da Whole Foods per risparmiare.

Se possono permetterselo, i consumatori fanno la spesa da Whole Foods per comprare cibi biologici di qualità più elevata, per i quali si aspettano di dover pagare di più. Per questo motivo, una catena a basso costo chiamata «365 by Whole Foods Market» è destinata a confondere i clienti di Whole Foods.

I casi sono due: o i prodotti di 365 by Whole Foods Market sono di qualità inferiore e meno biologica rispetto a quelli di Whole Foods, oppure Whole Foods ha praticato per decenni prezzi più alti del necessario. In ogni caso, Whole Foods ci rimetterà. Ma allora qual è lo scopo di una catena di Whole Foods più economica?

Quasi ogni marchio ha una posizione di prezzo. Alcuni marchi sono per le masse. Altri sono esclusivi. Altri ancora stanno nel mezzo – che non è mai una buona posizione in cui trovarsi.
Rolex, Evian, Starbucks e molti altri sono marchi «esclusivi». Walmart, Dollar Tree, Ikea e molti altri sono marchi «per le masse».

Cambiare la posizione di prezzo di un marchio è pericoloso. Anni fa, Walmart aveva tentato di entrare nel business della moda. Aveva assunto fra l’altro un dirigente di punta di Target. Aveva aperto un ufficio nel Fashion District di Manhattan. Aveva presentato una sfilata di moda a New York. E aveva pubblicato un annuncio di otto pagine sulla rivista Vogue. È stato un disastro.

«Un passo falso nella moda danneggia Walmart», ha titolato il Wall Street Journal.

Anche le aziende sono marchi

Gli acquirenti più consapevoli sanno che The Gap Inc. è proprietaria anche di Old Navy, nonché di Banana Republic. Allo stesso modo, chi compra una Chevrolet sa che la General Motors produce anche le vetture della Buick, della Cadillac e della GMC.

The Gap è stata una delle prime catene a focalizzarsi sull’abbigliamento di base per la generazione più giovane. Così, quando la società ha lanciato Old Navy, molti clienti di The Gap sono semplicemente passati alla catena più economica.

Il risultato è stato che The Gap ha avuto un andamento erratico per anni, con poca o nessuna crescita. Nel 2000, la catena aveva avuto entrate per 13,7 miliardi di dollari. L’anno scorso, 14 anni dopo, le entrate sono state di 16,4 miliardi.

Corretti per tenere conto dell’inflazione, questi 16,4 miliardi equivalgono a 12 miliardi del 2000.
In 14 anni la popolazione degli USA è cresciuta del 13%, ma le entrate di The Gap in dollari corretti per l’inflazione sono calate del 13%.

La General Motors ha commesso lo stesso errore. Nel 1990, quando l’azienda aveva lanciato la Saturn nella fascia bassa, l’obiettivo era di creare una nuova divisione per competere con Toyota e Honda.

Ma quali clienti sarebbero stati inclini a comprare una Saturn? Gli stessi clienti che avrebbero potuto comprare una Chevrolet, lo storico marchio di fascia bassa della General Motors.

I numeri raccontano il disastro. Nel 1990, l’anno in cui fu presentata la Saturn, la Chevrolet aveva il 19% del mercato americano delle auto. L’anno scorso, la Chevrolet ne ha avuto solo il 12%.

L’arrivo di Old Navy ha fatto apparire il marchio The Gap più costoso. L’arrivo della Saturn ha fatto sembrare più costoso il marchio Chevrolet.

Com’è possibile che aumentando il numero dei marchi diminuisca la quota di mercato? Dal punto di vista del management, più marchi, più modelli, più tutto si dovrebbero tradurre in più vendite.
Non è così.
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Come distruggere il marchio Saturn

La Saturn avrebbe potuto avere un successo enorme nella fascia bassa del mercato. E inizialmente era stato proprio così. Per un certo numero di anni, il rivenditore medio della Saturn aveva venduto più vetture di qualsiasi altro marchio automobilistico.

La Saturn raggiunse l’apice nel 1994, quando vendette 286.003 vetture nel mercato americano. «Un tipo diverso di impresa. Un tipo diverso di auto».

A differenza di altri marchi automobilistici, la Saturn vendeva un solo modello, il Modello S, a un prezzo basso ma senza possibilità di contrattare.

Dunque cosa fece la Saturn, in seguito? Fece quello che gli esperti del settore le dicevano di fare. Presentò un’auto più grande e più costosa, il Modello L, grazie al quale – predisse l’amministratore delegato – la Saturn avrebbe raddoppiato le vendite nel giro di pochi anni.

Non andò così. Quando la General Motors decise di chiudere la Saturn nel 2008, il marchio offriva cinque modelli differenti, ma aveva venduto solo 188.004 vetture nel corso dell’anno.

Fatemi ripetere questi numeri:

Nel 1994, quando la Saturn offriva un solo modello, il marchio aveva venduto 286.003 vetture. Nel 2008, quando la Saturn offriva cinque modelli, il marchio aveva venduto soltanto 188.004 vetture.

Le Saturn più grandi e più costose avevano finito per distruggere la posizione a basso costo della Saturn. Com’è possibile che un’azienda faccia volontariamente una cosa del genere?

Quello che la Saturn avrebbe dovuto fare era di concentrare tutti i suoi sforzi sul modello economico entry-level, il Modello S. Continuando però a migliorarlo negli anni seguenti, e abbassandone gradualmente il prezzo.

Per capire il marketing, non studiate il marketing

Studiate la storia, invece. Il marketing è ingombro di teorie che non hanno niente a che fare con la realtà, come per esempio l’estensione della linea.

Nel 1903, Henry Ford presentò il Modello A. In quell’anno vendette 1708 vetture. L’anno successivo presentò tre nuovi modelli, e vendette solo 1695 vetture.

Quell’esperienza cambiò il suo modo di pensare. Ecco cosa scrisse nella sua autobiografia: «Il secondo anno disperdemmo le nostre energie fra tre modelli diversi: il Modello B, il Modello C e il Modello F […] e in questo modo vendemmo meno auto che nel primo anno».

Negli anni successivi, Ford presentò il Modello N, il Modello R, il Modello S e il Modello K. Infine, nel 1908, presentò il Modello T, che ebbe un grande successo di vendite.

«I concessionari», scrisse Ford, «furono indotti a pensare dal grande successo che le vendite sarebbero state ancora più alte se avessimo avuto più modelli».

Ma Ford non era di questa opinione. «Perciò, in un mattino del 1909, annunciai senza preavviso che in futuro avremmo fabbricato un solo modello, e che quel modello sarebbe stato il Modello T».

Dal 1909 al 1926 Ford focalizzò i suoi impianti manifatturieri e i suoi sforzi di vendita sul Modello T, migliorandolo gradualmente ogni anno e riducendone il prezzo.

In quei 18 anni, la quota media della Ford del mercato automobilistico americano fu del 43%. In totale, la Ford produsse 15 milioni di Modello T, l’auto che è rimasta in produzione più a lungo fino al 1972, quando il record è stato battuto dal Maggiolino Volkswagen.

Ora, quale pensate che fosse l’ingrediente magico della Ford Modello T?
Nessuno.

Secondo Ford, «il Modello T non aveva praticamente nessuna caratteristica che non fosse presente in uno o in un altro dei modelli precedenti».

Beh, non esattamente. Direi che l’ingrediente magico della Ford Modello T fosse il focus, la focalizzazione.
Dovreste provarlo, una volta o l’altra.

– Al Ries –banner_1122x153

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15 pensieri su “Perché rinunciare al prezzo alto può distruggere le tue vendite

  1. Buongiorno Dott. Merenda, ho trovato l’articolo molto interessante.
    Sono d’accordo sul fatto che ogni azienda abbia un posizionamento di prezzo, difficile da modificare senza creare (talvolta) confusione nei consumatori. Così come sono d’accordo sul fatto che si debba studiare marketing dalla storia e non dalle teorie.
    A tal proposito, trattando in un’aula della facoltà di economia di Torino le vicende della Ford e la focalizzazione sul Model T, abbiamo constatato quanto tale strategia abbia effettivamente portato al tracollo della Ford stessa, proprio a causa dell’aver ignorato i cambiamenti nelle preferenze dei consumatori.
    Chi prima degli altri attaccò la Ford su questo fronte fu la General Motors, in particolare grazie all’ideatore della strategia della segmentazione del mercato e della diversificazione, Alfred P. Sloan, con tanto di slogan “a car for every purse and every purpose”. In questo modo, diversificando il prodotto in base alle fasce di prezzo, la GM è riuscita a contrastare il predominio del singolo prodotto Ford, il Model T.
    È anche vero che, più avanti nella storia, l’eccessiva diversificazione e l’integrazione di più case automobilistiche e più brand sotto un unico gruppo ha portato alla necessità di cederne alcune/i e/o chiuderne altre/i, fino alla crisi in cui GM, insieme alle altre due “Big Three” di Detroit, è incappata a partire dagli anni 2000.
    Detto ciò, premesso che la standardizzazione del prodotto (Model T), la realizzazione della catena di montaggio e la quasi totale integrazione verticale a monte messa in atto da Ford (con tanto di navi di proprietà che arrivavano direttamente nel complesso di River Rouge, fatto eccezione per gli pneumatici), le permisero di ottenere vantaggi dalle economie di scala aumentando la base clienti, diminuendo al contempo i prezzi di vendita grazie alla riduzione dei costi di produzione, siamo sicuri che, una buona diversificazione, come quella messa in atto dalla GM (prima di essere troppo dissennata), non sarebbe stata una buona strategia?
    (Fonte “Le strategie competitive del settore auto”, G. Pellicelli, UTET 2014)

      • Perché? Io non sto dicendo che sia stata sbagliata l’una o l’altra strategia, ma perché concentrarsi su di una e non sull’altra?
        Potrebbe essere che, nel momento in cui si afferma un nuovo dominant design, sia giusto concentrarsi solo su quell’unico prodotto (vedi Ford con Model T, vedi Apple con iPhone); ma arrivati ad un certo punto nel ciclo di vita di un prodotto, le richieste dei consumatori cambiano e le aziende devono iniziare a cambiare qualcosa, diversificare (vedi GM, vedi Apple con iPad).
        La Ford si era posizionata, come prezzo, nella fascia dei più poveri (“la Ford Model T ti porta dappertutto, tranne che nell’alta società”). Ma nel momento in cui, anche la fascia bassa inizia ad arricchirsi, non vuole più essere vista su di una macchina di una bassa fascia e decide di spostarsi verso chi offre diverse soluzioni, spesso con più qualità (vedi GM, vedi la Traiettoria Tecnologica).

        • Buonasera Mr. Merenda,
          Sarei anche io curioso di sentire cosa ne pensa in merito al commento del Sig. Paolo.
          In maniera più esplicata se possibile.
          Grazie in anticipo!

          • Penso che il Sig. Paolo abbia torto. Questo è un blog che parla di branding. L’articolo in questione l’ha scritto il signore che il branding l’ha inventato.

            Il perchè la teoria del Sig. Paolo sia sbagliata è spiegato in tutti i testi del signor Al Ries con bilanci, fatturati e numeri alla mano. In particolare se volete capire qualcosa di branding dovreste prima informarvi di cosa si parla e poi porre domande.

            Il modo corretto di farlo è studiare il libro Focus di Al Ries.

            Non ho tempo per rispiegare l’ABC da zero ogni volta che un nuovo utente capita su questo blog e ha voglia di dire la sua perchè ha letto una stronzata scritta su un testo universitario dal prof Ermenegildo Succhiapulli.

            Forza e coraggio e studiate.

        • Paolo stai dicendo due cose in forte contraddizione: Sloan (spesso citato da Al Ries) fece con la sua prima GM una razionalizzazione dei marchi, segmentandoli per fascie di prezzo, chevy, plymouth, oldsmobile, cadillac ecc… In cui una non poteva costare più di un’altra. Piu il consumatore voleva salire di status più saliva nella scaletta dei brand GM.
          GM era un’azienda con diversi marchi segmentati per prezzo e prestigio. Ford era sia azienda che marchio.

          Una grande Ford di alto gamma stile Cadillac avrebbe funzionato? No perchè il marchio Ford era destinato alla fascia entry level / Chevy. Quindi no una estensione di gamma e di prodotti verso la fascia alta di Ford, con il marchio Ford, siamo sicuri che non avrebbe funzionato.

          Il prodotto conta poco, quello che conta, è il corretto posizionamento del marchio nella testa dei consumatori. Studia Positioning e Focus (se è tradotto in italiano, è grazie a Frank) di Al Ries.

  2. Non potrei essere più d’accordo. Una mente confusa dice sempre di NO, e dare troppe possibilità vuol dire confondere il consumatore, e rischiare di non concludere la vendita!
    Anche nel lavoro con le mie clienti insisto sempre nel far loro creare un’offerta con POCHE alternative, chiare e che rispondano a un’esigenza SPECIFICA della loro clientela.
    (dopo aver definito ovviamente una nicchia di mercato a cui rivolgere quell’offerta 😉 ).

    Grazie Frank per un altro splendido articolo! 🙂

  3. FIno a quando all’Universita’ si studiano Modelli di quel genere si otterranno manager di un certo tipo.

    Paolo scusami, ma chi l’ha detto che devi seguire il consumatore dalle panchine ei cartoni fino alla ricchezza?

    Ci sara’ sempre una fascia bassa a cui vendere la model T.

    In ogni caso. Non discutiamo su Al Ries, vi prego….. è da 40 anni che dice cose sensate. Poi, piccolo particolare, l’ha teorizzato lui il posizionamento di marca. Orsu’…

  4. Ottimo spunti com’è solito nello stile Merendiano. A proposito di auto, penso sempre alla Porsche e mi ricordo che prima era un marchio che affianco alla Ferrari non sfigurava. Poi uscì la boxster , la Cayenne, la berlina 4porte, non so se han fatto pure il treciclo della Porsche. Secondo te, Mr. Frank, Questa estensione di linea, in casa Porsche, ha fruttato risultati buoni o altro?

    Grazie

  5. anche la Porsche per prendere una fascia di mercato giovane fece un modello 2000, non ricordo se diesel o benzina, ma non è il fulcro.
    Il fulcro è che quella ‘cosa’ non era quello che i giovani rampanti volevano.
    Il 2.000 della Porsche fu un fiasco enorme.

  6. Ciao Frank, ho notato che alcune aziende pur adottando molti (se non tutti) degli accorgimenti che suggerisci in questo blog fanno una brutta fine.

    Esempio pratico: BIIOSystem.

    So che conosci questa Brand e come sia stata implementata con una sua idea differenziante specifica, focalizzata e con tanto di prezzi alti.

    Ad ogni modo ciò non è bastato ad evitare che tale Brand sprofondasse irreparabilmente in un lago di merda infinito tanto da non lasciarne quasi più traccia alcuna.

    Potresti spiegare dal tuo punto di vista come questo sia stato possibile nonostante l’applicazione di Brand Positioning, Direct Marketing, Blog, Articoli, Libri, Prove e Testimonial?

    Grazie.

    • Ciao Lorenzo,

      nel caso di BIIOSystem innanzitutto non credo che sia “sprofondata nella merda” come dici tu. Sicuramente avrebbe potuto fare meglio ma questo vale per chiunque.

      Ciò detto, ed è una cosa che ho discusso a voce anche con Claudio Tozzi, il problema di base (ma ce ne sono tanti altri) è il TARGET della sua attività e il modello di business che ci sta dietro.

      Un brand per poter crescere e svilupparsi ha bisogno innanzitutto di PR. Le PR si sviluppano ovviamente con il cosidetto “passaparola” organizzato e l’esposizione mediatica.

      Il BIIO ha avuto il suo periodo migliore ovviamente quando aveva questa esposizione tramite la direzione di Olimpyan’s da parte di Claudio. Poi una volta persa quella vetrina espositiva, ovviamente la massa critica di persone nel tempo è andata calando.

      Il problema vero però è proprio nel target: il BIIO è un’attività per singoli, che si allenano “da soli” e due volte a settimana.

      E’ molto difficile innanzitutto trovare persone disposte a farlo realmente.

      La gente comune, la massa, va in palestra per motivi diversi da quelli che crede Claudio. Che non sono quelli di allenarsi e stare bene e ottenere i massimi risultati possibili da un fisico natural.

      La gente va in palestra per:

      – staccare dal lavoro

      – socializzare

      – non dover stare in casa con la moglie

      – rimorchiare

      – guardare i culi delle donne/degli uomini

      – farsi nuovi amici

      ecc…

      ai quali si sommano le motivazioni di chi ha un fisico sopra la decenza che sono essenzialmente:

      – narcisismo

      – mostrarsi in pubblico

      – farsi “ammirare”

      Ora, tutte queste motivazioni sono CONTRARIE all’andare in palestra 2 volte a settimana per 45 minuti allenandosi da soli o quasi.

      La gente vuole andare in palestra SEMPRE. E’ come andare al club o al bar. E’ un attività ricreativa, non legata realmente al fisico.

      Infatti la ricetta PERFETTA è il Crossfit (che piaccia o meno dal punto di vista tecnico):

      – Sempre in palestra

      – Ci si allena in gruppo

      – Si crea spirito di appartenenza tipo Harley Davidson

      – Se ne parla in continuazione rompendo le palle tipo i vegani a chiunque si incontri (PR)

      Il BIIO magari funziona di più per costruire il fisico, ma gli mancano gli attributi insiti di marketing che invece il Crossfit ha.

      Ecco, il Crossfit è un buon esempio di branding e di applicazione di tutto ciò che insegno. Il BIIO purtroppo ha più difficoltà intrinseche da questo punto di vista.

      L’altro problemaè la nicchia: “Il bodybuilding natural”. Ma non esistono i “bodibildi” natural. Sono troppo pochi. La gente si fionda in vena se si sta a massacrare in palestra.

      Claudio ha sempre cercato un ideale di “verità” che però non trova riscontro nel mercato. Semplicemente non c’è la gente per fare numeri che servono con quel tipo di metodologia.

      Tutto qui.

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